Figura acculturata, distinta e vezzosa, Isabella Villamarino, nata nel 1503 a Napoli e conosciuta anche come Donna Sabella, è stata una nobile letterata italiana, nonché l’ultima principessa di Salerno.
Isabella era la figlia del conte di Capaccio Bernardo Villamarino, grande ammiraglio del Regno di Napoli di origini catalane, e di Isabella di Cardona. Con la sua vita nobile, Donna Sabella è stata protagonista di svariati episodi arricchiti, grazie anche alla tradizione popolare, da misteri e leggende.
L’unione di due potenti dinastie: il legame con Ferdinando Sanseverino
Isabella era senz’altro nota per la sua spiccata cultura, infatti venne educata dai migliori istitutori presenti all’epoca, tra cui anche Pomponio Gaurico. Tuttavia non fu l’unica: a ricevere lo stesso trattamento fu Ferrante Sanseverino, conosciuto per essere stato l’ultimo principe di Salerno, e all’epoca orfano affidato proprio alla famiglia Villamarino.
Nel 1516, appena tredicenne, Isabella sposò Ferrante, dopo che il re Ferdiando II, detto anche il Cattolico, diede il suo consenso. Il matrimonio segnò dunque l’unione di due potenti dinastie.
La corte dei coniugi
La corte di Donna Sabella e del suo coniuge Ferrante venne ospitata sia nel Palazzo Sanseverino di Napoli sia a Salerno, nella loro dimora.
Avendo i coniugi un particolare interesse per la cultura e le arti, spesso e volentieri la corte salernitana divenne un punto di riferimento, nonché luogo di incontro per svariati artisti, letterati, scienziati e in generale figure illustri dell’epoca. Tra queste spicca soprattutto Carlo V, che fu ospite presso la loro corte ed alloggiò nel famoso Palazzo Ruggi a Salerno. L’imperatore rimase fortemente colpito non solo della parata fatta in suo onore, ma anche dalla sontuosità della corte e soprattutto dal fascino di Isabella. Tra i due nacque infatti un’amicizia, testimoniata da una serie di lettere conservate a Simancas, in Spagna, nell’Archivio di Stato.
Ferrante stesso, inoltre, iniziò a coltivare la passione per la musica arrivando a comporre addirittura diverse canzoni. Donna Sabella, invece, era elogiata non solo per la sua intelligenza e cultura, ma anche per la sua grazia e bellezza. Addirittura il poeta Bernardo Tasso, padre del noto Torquato Tasso, all’epoca segretario di Ferrante, le dedicò un libro intitolato “Gli Amori”.
Il declino di Donna Sabella e Ferrante
Sfortunatamente, lo sfarzo e la sontuosità della corte erano circoscritte solamente a Donna Sabella e al suo coniuge. In quel periodo, infatti, il regno di Napoli stava subendo le pesanti conseguenze dell’Inquisizione, di cui proprio Ferrante Sanseverino ne fu una vittima.
Egli infatti cadde in disgrazia nel 1552 presso il Viceré Don Pedro de Toledo, con l’accusa di eresia e di essere andato contro la Spagna stessa. Venne pertanto condannato a morte e costretto dunque a separarsi dall’adorata moglie per cercare esilio in Francia alla corte, dove morì poi nel 1568.
Isabella, intanto, non solo fu privata di tutti i suoi beni ma fu costretta a trovare un rifugio, prima ad Avellino dalla sua nipote ed in seguito a Napoli, al Castel Nuovo. Nel 1555 si recò in Spagna, e qualche anno dopo, nel 1559 morì nel viaggio di ritorno da Madrid per Napoli, proprio dopo aver ottenuto il permesso di ritorno in patria. Svariate lettere di corrispondenza tra marito e moglie dimostrano l’estrema malinconia dovuta alla separazione.
La leggenda della Torre di Velia
La tragica fine di questa unione è stata ampiamente romanzata e narrata in tradizioni popolari e leggende. Secondo una di queste leggende, Isabella, dopo l’esilio del marito presso la corte di Francia, si rifugiò presso Velia, un’antica colonia greca, dove i coniugi erano anche in possesso della Torre di Castellammare della Bruca. Qui, nel Cilento, Isabella volle scappare dalle avances del Viceré Don Pedro de Toledo, il cui intento era quello di rovinare ancora di più l’immagine un tempo nobile di questa casata.
La tranquillità di questo affascinante posto venne bruscamente interrotta quando una mattina Isabella venne avvisata dell’avvicinarsi di un gruppo di navi nemiche. Erano i saraceni, riconoscibili dal simbolo di una mezzaluna presente sulle loro navi.
Isabella tuttavia non si fece prendere dal panico e ordinò di dare fuoco ai nemici, per poi scoprire, solo quando una delle navi stava ormai affondando, il vessillo della casata dei Sanseverino. Secondo questa storia, infatti, Ferrante era riuscito a ritornare dall’esilio in Francia per poter ricongiungersi con la sua amata Isabella, la quale per errore ne aveva provocato il decesso.
Donna Sabella, devastata dal dolore della perdita, si recò sul punto più alto della Torre per potersi gettare, ma al momento della caduta, prima di raggiungere il suolo, si trasformò in una civetta, reincarnandosi. Ancora oggi, secondo la leggenda, è possibile ascoltare il canto di questa civetta tra le mura del Castello.
Il canto dedicato a Donna Sabella
La tragica fine di Donna Sabella e del suo coniuge Ferrante, nonché la figura della donna stessa, secondo la tradizione cilentana, vengono celebrate in un canto, che recita:
“Nun m’ chiamate cchiù Donna Sabella
chiamatemi Sabella ‘a sventurata
aggio perdut’ trentasei castella
‘a chiana ‘e Puglia e ‘a Basilicata
aggio perdut’ ‘a Salierno bella
ch’era ‘o spass r’ ‘a disgraziata
‘a sera m’imbarcaj int’ ‘a varchetella,
e ‘a mattina m’ truvai ‘negata.”
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