Posizionata in una conca tra le montagne ed attraversata da ben due fiumi, Benevento è stata per secoli una zona strategica per molti degli antichi popoli che hanno abitato queste terre così suggestive. Il suo nome originario era Maloenton e secondo il folklore locale, Benevento è la “città delle streghe”.

La leggenda sembra essersi diffusa in epoca longobarda, quando la maggior parte degli abitanti erano cristiani, ma c’era ancora qualcuno devoto a divinità pagane come Diana, Iside ed Ecate, il cui culto è ancora oggi visibile in alcuni monumenti cittadini.

È quindi probabile che in tale epoca siano nati i primi racconti sulle orge infernali ed i sabba che si svolgevano intorno ad un grande albero di noce. Sotto l’albero magico si radunavano le streghe che vi giungevano dopo aver volato grazie ad un unguento magico con cui si cospargevano il corpo nudo.

Le janare e le altre streghe di Benevento

Secondo le credenze popolari dell’Italia centro-meridionale, la janara è una tipologia di strega che popola gran parte delle storie della tradizione contadina ed agreste, soprattutto nelle zone del Sannio e dell’Irpinia.

Il nome janara potrebbe derivare da ‘dianara’, ovvero sacerdotessa di Diana, la dea romana della luna, o anche dalla parola latina ‘ianua’, cioè porta. Infatti, si dice che janara si infilasse sotto le porte e per impedirlo bisognava mettere davanti una scopa o un sacchetto con grani di sale.

Così facendo, la strega era costretta a contare i fili della scopa o i grani di sale fino al sorgere del sole, nemico delle streghe.

Le janare hanno fatto un patto con il Diavolo e di giorno assumono le sembianze di comuni donne. Di notte, invece, abbandonano l’aspetto umano per assumere fattezze da far rabbrividire: hanno capelli sporci, occhi spiritati, rughe sul viso, piedi scalzi e lunghissime unghie alle mani.

Si racconta che uscissero di notte e che si intrufolassero nelle stalle per trovare una giumenta e cavalcarla. Inoltre, sembra che fossero solite fare delle trecce alla criniera del cavallo, come segno della loro presenza.

A differenza di altre streghe, la janara era solitaria ed aveva un temperamento piuttosto scortese ed aggressivo. Per poterla catturare era necessario afferrarla per i capelli e a chi fosse riuscito a prenderne una, la strega prometteva protezione per 7 generazioni in cambio della libertà.

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Vittime preferite delle janare sono i bambini, sui quali sfogano il loro odio soffocandoli e tormentandoli. Altri eventi nefasti legati alla loro opera demoniaca erano gli aborti, l’infertilità e le morti in culla.

In molti paesini della provincia di Benevento ci sono tantissime storie sulle janare, spesso molto simili tra loro che si differenziano soltanto per il luogo nel quale è avvenuto il fatto.

Ci sono però anche altri tipi d streghe che caratterizzano la storia popolare di Benevento. Una di queste è la Zucculara, la quale era zoppa ed infestava il Triggio, l’area del Teatro Romano della città.

Il nome deriva dagli zoccoli rumorosi che indossava e la sua figura pare ispirarsi alla dea Ecate che portava un solo sandalo ed era venerata nei trivi, cioè agli incroci (triggio proviene dal latino trivium).

Altra strega era poi la Manalonga (braccio lungo) che abitava nei pozzi e tirava giù chiunque passasse nelle vicinanze. Infatti, il timore dei fossi e delle buche profonde viste come varchi per l’inferno è un aspetto ricorrente nei miti esoterici.

Nei secoli le credenze popolari sono sopravvissute fino ai giorni nostri ed anzi, si sono arricchite di particolari ed aneddoti che hanno poi influenzato gli atteggiamenti dei più superstiziosi. La leggenda delle streghe di Benevento ha dato ispirazione alla creazione del noto liquore Strega e alla composizione di opere musicali come il balletto Noce di Benevento del 1802 di Franz Xaver Süssmayr.

Il noce di Benevento

I più antichi racconti sulle streghe di Benevento narrano come queste avessero l’abitudine di radunarsi ai piedi di un grande albero di noce sulle rive del fiume Sabato. Probabilmente tale usanza proveniva dalle cerimonie e rituali pagani delle comunità longobarde stanziate vicino Benevento dal VI secolo in poi.

Ciò è testimoniato nel saggio Della superstitiosa noce di Benevento (1639) del protomedico Pietro Piperno, nel quale si narra che le radici della stregoneria della zona beneventana risalgono almeno al VII secolo.

A quel tempo Benevento era la capitale di un piccolo ducato longobardo e gli invasori, seppur convertiti al cristianesimo, non avevano abbandonato del tutto il proprio credo pagano. I longobardi iniziano così ad eseguire un particolare rito vicino il fiume Sabato, in onore del padre degli Dei Wotan.

Durante il rituale i guerrieri colpivano un cavallo con le lance per strapparne brandelli da mangiare. I cristiani locali erano molto impressionati da riti così cruenti e il sacerdote Barbato li accusava apertamente di idolatria. Secondo la tradizione, nel 663 il duca Romualdo promette di rinunciare al paganesimo se la città fosse stata salvata dall’attacco dell’imperatore bizantino Costante II.

Dopo la ritirata delle truppe imperiali, Barbato diventa vescovo di Benevento e lui stesso abbatte l’albero di noce, facendo costruire al suo posto una chiesa. Questa leggenda non combacia perfettamente con i dati storici reali, ma in ogni caso è evidente come la superstizione delle streghe fosse comunque legata alle usanze portate dai longobardi.

Per quanto riguarda la posizione precisa del noce, oggi sono state avanzate diverse ipotesi. Secondo le presunte streghe si trattava di un albero molto alto e dalle proprietà nocive. Non si esclude che potessero essere anche più alberi.

Pietro Piperno nella sua opera aveva incluso una specie di piantina che poneva l’ubicazione del noce nelle terre del signore nobile Francesco di Gennaro. Altri invece pensano che l’albero si trovasse in una gola chiamata Stretto di Barba, dove c’è un piccolo bosco con accanto una chiesa abbandonata.

La caccia alle streghe di Benevento

I processi contro la stregoneria prendono piede a partire dal XV secolo ed un notevole impulso alla persecuzione di queste donne si è avuta con la pubblicazione nel 1486 del famoso Malleus Maleficarum, trattato scritto da Heinrich Kramer e Jacob Sprenger, nel quale veniva spiegato come riconoscere le streghe, processarle e interrogarle tramite torture crudeli.

Tra il XVI ed il XVII secolo la caccia alle streghe dilaga in tutto il continente europeo, con oltre 12.000 vittime giudicate e condannate a morte.

Nell’Italia meridionale i tribunali inizialmente impongono pene severe solo in rari casi, ma nel tempo anche in tale zona cominciano a moltiplicarsi le accuse di stregoneria ed i processi.

La prima traccia storica relativa a Benevento si deve a Bernardino da Siena, il quale predicava in tutta l’Italia centrale ed era a conoscenza dei racconti e dicerie sulle streghe di Benevento. Nei suoi sermoni parlava spesso delle donne, soprattutto di quelle che curavano con le erbe, le levatrici e le indovine.

Invece la prima figura femminile legata al mito delle streghe di Benevento è Matteuccia di Francesco, meglio nota come Matteuccia da Todi, processata nel 1428. Questo caso di stregoneria è diventato molto importante per essere il primo nel quale si utilizzava la parola strega.

Matteuccia era stata arrestata in quanto “donna di pessima condizione, vita e fama, pubblica incantatrice, fattucchiera, maliarda e strega”. Al momento del processo era molto temuta in quanto aveva una certa notorietà e tra i suoi clienti assidui non c’erano solo contadini o persone di umili origini, ma anche personaggi di rango più elevato.

Secondo gli atti del processo, Matteuccia usava ingredienti come ossa di cadaveri ed animali ed aveva ammesso di consumare sangue di neonato. Infatti, era accusata di avere ucciso 5 bambini e di tali omicidi i giudici non sembrano mai dubitare.

Durante il processo Bernardino da Siena suggerisce all’inquisitore le domande da farle e sotto tortura Matteuccia confessa di avere volato in forma di gatta a cavallo di un demone con l’aspetto di caprone verso il noce di Benevento. Verrà bruciata sul rogo il 20 marzo del 1428.

Nelle carte processuali viene poi riportata la formula che Matteuccia era solita ripetere:

“Unguento unguento

Portami al noce di Benevento

Supra acqua et supra vento et supra ad omne malo tempo”

La frase sarà spesso ripetuta da altre streghe sottoposte a persecuzione, come Mariana di San Sisto, processata nel 1456 e condannata a morte sul rogo. Anche in questo caso si parla di noce di Benevento, unguento e sabba.

Si accenna a Benevento e al noce poi in altri due processi portati avanti dal Santo Uffizio di Roma nel XVI secolo. Il primo era a carico di Bellezza Orsini, esperta di erbe medicinali che era stata accusata dell’omicidio di un giovane che non era riuscita a salvare. Torturata e messa sotto pressione, confesserà tutto quello che le veniva imputato e morirà in carcere suicidandosi.

Il secondo processo con riferimenti alle streghe di Benevento risale al 1552, quando Faustina Orsi viene accusata di stregonerie e omicidi di bambini che confesserà dopo essere stata torturata. Verrà arsa sul rogo all’età di 80 anni.

Ad eccezione delle poche notizie storiche sopravvissute, gran parte delle testimonianze riconducibili alla leggenda delle streghe di Benevento sono andate ormai perse.

Secondo lo storico beneventano Abele De Blasio, alla fine del XIX secolo nell’archivio vescovile della città erano presenti più di 200 verbali di processi inerenti alla stregoneria, in parte distrutti nel 1860 per non conservare documenti che potessero alimentare le tendenze anticlericali del tempo. Altra parte di questo materiale è poi scomparso in seguito ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale.

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