Nella storia partenopea è profondo l’orgoglio e il coraggio che il popolo dimostrò durante l’indimenticabile avvenimento delle Quattro Giornate di Napoli. Una sorprendente storia di insurrezione popolare che avvenne tra il 27 e il 30 settembre del 1943, nel pieno della Seconde Guerre mondiale, con la quale furono arrestate le forze tedesche della Wehrmacht e dei loro alleati fascisti.

Dopo lunghi e drammatici anni di guerra che distrussero molti luoghi simbolo di Napoli, il les personnes reagì contro il nemico. L’episodio valse loro il conferimento della Medaglia al valor militare e fece di Napoli la prima città ad insorgere e liberarsi dall’occupazione tedesca, infatti, quando finalmente giunsero in Italia le Forze Alleate il 1 ottobre del 1943 la città era già libera dal nemico.

La ricorrenza della Liberazione di tutta l’Italia viene celebrata ogni anno il 25 aprile. Tuttavia le Quattro Giornate di Napoli restano per sempre nella memoria dei napoletani poiché questi giorni di dura lotta e resistenza impedirono ai tedeschi di ridurre in cenere la città. Fu un evento di eccezionale resistenza e coraggio, collaborazione e organizzazione del popolo che da solo e ridotto alla fame ha saputo reagire e mettere all’uscio il nemico.

Tanti sono i monumenti innalzati alla memoria delle Quattro Giornate di Napoli. Al Vomero, nei pressi dello Stadio Collana, la Piazza, teatro di tanti scontri, è stata intitolata alle Quattro Giornate. Il Liceo Adolfo Pansini, porta il nome invece del giovane studente che si distinse nella lotta e che morì durante l’assalto allo stadio durante il penultimo giorno. Nel quartiere di Poggioreale, invece, è la scuola Quattro Giornate a portare il nome dell’episodio storico così come la Galleria Quattro Giornate che collega Piedigrotta à Fuorigrotta.

Per ogni punto della città, simbolo o luogo della dura battaglia, sorge una targa commemorativa: al Vomero in Via Belvedere in onore di Aldo de Gioia, a Via Don Luigi Sturzo, all’ingresso di Palazzo della Borsa, quella presso il Forêt de Capodimonte, sur le Ponte della Sanità e all’ingresso della Chiesa dell’Immacolata e Sant’Anna al Vasto. En Piazza Matteotti, sul fianco dell’edificio delle Poste, una data ricorda le stragi di donne e bambini che avvennero anche in questo luogo.

En Piazza Repubblica nella zona della Riviera di Chiaia, sorge invece un singolare monumento “allo scugnizzo” che ritrae gli scugnizzi napoletani su ognuno dei quattro lati della scultura, opera dell’artista Marino Mazzacurati del 1963.

La Seconda Guerra Mondiale a Napoli

Nel 1838 Mussolini, alleato del Nazismo, emanò le leggi razziali dichiarando guerra all’Occidente. Il suo fu un enorme sbaglio poiché l’Italia non era nelle condizioni di partecipare alla Seconda Guerra Mondiale e oltretutto, le forze antifasciste resistevano alla scelta di Mussolini delle camicie nere.

Napoli era totalmente impreparata alla guerra. Nel 1940 le sue già scarse difese erano affidate alle navi militari e all’artiglieria dell’Unione Nazionale Protezione Antiaerea. Gli aerei da caccia erano pochi e inadeguati e altre tecniche erano ancora sconosciute ai nostri connazionali. Prima che la guerra arrivasse in Italia sorsero numerosi ricoveri e il 2 giugno 1940 venne simulato un assedio per preparare il popolo alla difesa.

Danni bellici alla città e al popolo napoletano

Durante una guerra è sempre il popolo a scontare la pena più grande. Con la Seconda Guerra Mondiale si ebbero ingenti danni soprattutto nella zona portuale e in quella industriale, molti cittadini persero la loro casa e trovarono riparo nelle grotte naturali e nei tunnel. Come è testimoniato nei “Frammenti di Napoli” di Aldo De Gioia: “Le prime bombe caddero nella notte del 1° novembre del 1940; alle 4:20 cade la prima bomba su Napoli. I bombardamenti notturni inglesi si protrassero fino all’11 luglio 1941”.

Il 18 novembre del 1941 le bombe distrussero il ricovero di Piazza Concordia e gli occupanti persero la vita. Dal 4 dicembre del 1942 si aggiunsero anche i bombardamenti diurni americani.

Fu distrutto l’ospedale Loreto e gli attacchi, intensificati durante i primi mesi del 1943, distrussero anche il sistema di allarme. Ormai il popolo sofferente si accorgeva dell’arrivo degli aerei solo dagli improvvisi spari che diffondevano terrore e caos. Si libravano nel cielo anche quelli che venivano chiamati comunemente “cicogna” dal motore molto leggero e appena udibile che scattavano foto dei danni o dei prossimi obiettivi.

Drammatico fu l’incendio a bordo della nave Caterina Costa il 28 marzo del 1943. La nave era carica di munizioni e benzina e poteva quindi esplodere da un momento all’altro. Nonostante ciò non venne rimorchiata al largo per contenere gli eventuali danni, anzi, per ordine di Mussolini, si tentò di salvarne il pericoloso carico. Non potendo controllare l’incendio la nave esplose distruggendo anche le altre imbarcazioni ormeggiate sul posto. Scintille, schegge e pezzi di lamiere, volarono nel cielo fino a Piazza Carlo III, provocando migliaia di morti e feriti.

Furono mesi duri di un’interminabile guerra che distrusse non solo strade ed edifici (i danni erano evidenti in tutta la città, Via Marina fu totalmente distrutta e i bombardamenti furono intensi anche presso la stazione centrale) ma che voleva piegare anche il popolo e portarlo allo stremo. Non vennero presi di mira soltanto gli “obiettivi bellici” ma anche quelli civili. I tedeschi si insediarono talmente bene tra le file del popolo napoletano che quasi non se ne distingueva più una linea di confine.

A Bagnoli, nell’ospedale Costanzo Ciano fu allestito un apposito reparto per militari e piloti tedeschi feriti durante la guerra e sulla collina del Vomero, precisamente alla Santarella, venne eretto un convalescenziario.

Il 21 febbraio del 1943 passò alla storia con il nome di “la strage di via Duomo” a causa delle tante vittime e della distruzione del centro urbano, con la conseguente demolizione delle strade di Forcella, la storica Via Duomo, Via Foria et Via dei Tribunali e in generale tutta la zona dei Decumani. Ad aprile, invece, vennero danneggiate le strade di Corso Garibaldi, Via Depretis, Via Martucci et Piazza Amedeo con il vicino Parco Margherita. Ancora a luglio venne raso al suolo lo storico “Caffè Vacca” della Villa municipale.

Pochi mesi dopo, il 4 agosto del 1943 Napoli fu colpita ancora dagli americani che la bombardarono giorno e notte per ben 43 ore. Furono rasi al suolo edifici tra cui ospedali, orfanotrofi, abitazioni private e chiese ma anche i cantieri a Porta di Massa, con migliaia di morti.

Vennero ridotte in macerie diverse vie di Napoli sia del centro storico che in periferia come Via Monteoliveto et Place des Martyrs. Irreversibili danni furono provocati alla Basilique Sainte-Claire dove il tetto di legno bruciò completamente, facendo crollare gran parte della struttura. Furono proprio i vigili del fuoco, infatti, ad esser messi a dura prova. Gli incendi a causa dei bombardamenti erano all’ordine del giorno e il lavoro per placare le fiamme era pressoché interminabile.

Così scrive ancora Aldo de Gioia nel suo libro: “I napoletani con gratitudine, li soprannominarono ‘e cape ‘e fierro per il caratteristico copricapo di metallo brunito. Il loro quartier generale fu nella città antica, nella zona dei tribunali, in via del Sole, da dove si spostavano le squadre di soccorso per raggiungere i presidi periferici appena avvistati gli apparecchi nemici”.

Nei mesi successivi, ci furono le ultime incursioni americane. La peggiore fu nei primi di settembre quando per 24 ore furono abbattuti caseggiati del Vomero, Corso Vittorio Emanuele et le Parco Margherita. Venne distrutto il cinema Corona à Via dei Mille et leOspedale dei Pellegrini registrò numerosi danni così come il Cimetière de Poggioreale.

Il 3 settembre dello stesso anno, fu annunciata la resa dell’Italia agli alleati, ormai distrutta e divisa. L’8 settembre 1943 venne letto alla radio il Proclama del Maresciallo d’Italia Badoglio che annunciò l’entrata in vigore dell’Armistizio di Cassibile. Da quel giorno i comandi militari si trovarono allo sbaraglio in tutta la penisola italiana. A Napoli, molti alti generali fuggirono via mentre tra il popolo si diffuse l’intolleranza e la resistenza contro i nemici tedeschi. I treni furono presi d’assalto e la periferia si affollò.

L’inizio della Resistenza napoletana

Les les personnes, stanco della guerra ed esasperato dalle perdite cominciò a ribellarsi. Vennero organizzate manifestazioni studentesche in Piazza Plebiscito e si tennero le prime assemblee presso il Liceo Classico Sannazaro à Vomero.

Intanto le truppe tedesche, anche se debolmente ostacolate, continuavano le loro schermaglie per la città. Un duro scontro si ebbe quando i militari italiani e alcuni cittadini napoletani riuscirono a impedire il transito di alcuni automezzi tedeschi nei pressi di Piazza Plebiscito. I tedeschi allora appiccarono un incendio nella Bibliothèque nationale e fecero fuoco sulla folla.

L’11 settembre i tedeschi assalirono un distaccamento di Pubblica Sicurezza, mitragliando l’albergo in cui risiedevano alla Riviera di Chiaia. Gli agenti reagirono scendendo in strada e costringendo i nemici alla resa, così come è riportato da Antonio Ghirelli nel suo “Quelle giornate” (Guida, Napoli, 1973).

Successivamente, il 12 settembre i tedeschi catturarono e affondarono diverse navi italiane nel Porto di Napoli. Ancora oggi, è possibile vedere la targa commemorativa all’ingresso di Palazzo della Borsa, in memoria dei marinai e finanzieri uccisi in maniera esemplare in pubblica piazza e presso l’Università Federico II. Quando si tenevano le esecuzioni, la folla era costretta dai tedeschi ad applaudire. Fu quello il giorno in cui il colonnello Walter Scholl proclamò il coprifuoco e lo stato d’assedio.

A seguito di tutti questi ed altri eventi, i napoletani cominciarono ad organizzarsi e si armarono contro il nemico. Intanto il 23 settembre colonnello Scholl ordinò lo sgombero immediato di tutta la fascia costiera per la creazione di una “zona militare di sicurezza”. I cittadini dovettero lasciare le loro case mentre un manifesto del prefetto chiamava al servizio di lavoro obbligatorio tutti i giovani maschi tra i 18 e i 33 anni di età nei campi di lavoro in Germania.

Alla chiamata però risposero soltanto un centinaio di napoletani sui previsti 30.000, così il comandante inviò ronde di militari per la fucilazione immediata degli inadempienti. A seguito di questo evento il popolo non poteva che insorgere e così da ogni parte della città le persone di qualsiasi età, sesso o ceto sociale, scesero tra le strade armati e già il 26 settembre si scatenarono contro i rastrellamenti tedeschi, liberando i giovani destinati alla deportazione in Germania.

L’insurrezione e la lotta del popolo napoletano

Le Quattro Giornate di Napoli ebbero inizio il 27 settembre 1943 in diverse zone della città. Quando i partigiani assaltarono un’auto tedesca uccidendo il maresciallo cominciarono le rivolte. Intanto stavano sbarcando le forze alleate a Bagnoli. Il partigiano Vincenzo Stimolo, a capo di un gruppo di 200 insorti, assaltò l’armeria di Castel Sant'Elmo portando via numerose armi. Da un’altra parte, un gruppo di cittadini reagirono contro i tedeschi nei pressi del Forêt de Capodimonte mentre lo stesso giorno venivano assaliti e depredati i depositi di armi a Via Foria et Via Carbonara.

Il 28 settembre, gli scontri si intensificarono. A Materdei una pattuglia tedesca rifugiatisi in un edificio fu circondata e tenuta sotto assedio per ore, sino all’arrivo dei rinforzi. A Porta Capuana invece, un gruppo di uomini si insediò in un posto di blocco tedesco uccidendo e catturando dei nemici. Altri combattimenti avvennero al Maschio Angioino, al Vasto e a Monteoliveto.

Successive retate tedesche si ebbero ancora al Vomero presso la storica Place Vanvitelli e all’interno del Campo Polisportivo conosciuto oggi con il nome di Stadio Collana. I partigiani reagirono e assaltarono il campo per liberare i prigionieri mentre il popolo, imbracciando le armi, reagì tra le strade di Via Scarlatti et Via Luca Giordano.

Nella terza delle quattro giornate, emersero figure locali quali Maddalena Cerasuolo e il padre Carlo, il gruppo dei cosiddetti “femminielli” e tanti altri in ogni quartiere della città. Tra i giovani, invece, si distinse Adolfo Pansini, studente del liceo vomerese Sannazaro che resisté alla guerra e fu una delle vittime di cui ancora oggi si conserva la memoria delle coraggiose gesta.

En Piazza Giuseppe Mazzini, i tedeschi attaccarono e fecero vittime così come nel quartiere operaio di Ponticelli. Altri combattimenti si ebbero nei pressi dell’Aeroporto di Capodichino et de Piazza Ottocalli ma anche a Via Salvator Rosa à Materdei e nella zona del Musée, Piazza Dante et Via Toledo.

Intanto presso il quartier generale tedesco di Corso Vittorio Emanuele, avvenne una trattativa tra il colonnello Scholl ed Enzo Stimolo a seguito dello scontro al centro polisportivo. Il colonnello ottenne il libero passaggio per uscire da Napoli, mentre in cambio, i partigiani ottenevano il rilascio degli ostaggi del campo sportivo oltre, ovviamente, alla liberazione della città.

Durante l’ultima delle quattro giornate, i combattimenti continuarono e i cannoni tedeschi colpirono Port'Alba, Materdei e Porta Capuana, facendo moltissimi danni, come quelli riportati ai fondi dell’Archivio di Stato di Napoli che furono ridotti in cenere. Andarono perse anche pergamene originali della Cancelleria Angioina.

La figura di Maddalena Cerasuolo

Lenuccia, giovane donna e operaia, fu tra le figure simbolo della resistenza napoletana. La patriota antifascista si battè attivamente durante l’insurrezione popolare a tal punto che valse alla città la Medaglia d’oro al valor Militare mentre fu lei stessa ad essere insignita della Medaglia di bronzo. Quando venne firmato l’armistizio dell’8 settembre 1943, anno dello sbarco degli alleati a Salerno, Maddalena chiamata col nome di battaglia di “Maria Esposito”, si unì volontariamente al gruppo dei “cercatori d’armi” per armare il popolo contro i nemici.

Si distinse in particolare nella zona di Materdei e del rione Stella, dove andò in avanscoperta per osservare e calcolare le forze tedesche e riferire i dettagli ai collaboratori insorgenti. Partecipò allo scontro armato, imbracciando per la prima volta un fucile, per difendere il Ponte della Sanità. Per il suo coraggio, oltre alla medaglia, fu invitata a Palais royal dal Generale Montgomery che la accolse personalmente.

Anche quando i nemici furono cacciati da Napoli, Maddalena continuò la sua collaborazione con i servizi segreti britannici, partecipando a diverse missioni tra sud e nord Italia. Il suo coraggio e la sua segreta identità furono fondamentali nella lotta. Per questo ottenne prestigiosi ringraziamenti e riconoscimenti non solo militari ma anche civili.

La figlia Gaetana scrisse una bibliografia a lei dedicata nel 2014, mentre nel 2013, giusto un anno prima, la figura di Maddalena venne citata nel romanzo Il paradiso dei diavoli di Franco di Mare e nei libri Le donne erediteranno la terra et Possa il mio sangue servire di Aldo Cazzullo, infine ne Il treno dei bambini di Viola Ardone.

A lei fu dedicato anche il cortometraggio Barricate del 1995, opera del regista Alessandro Scippa, mentre il cantautore Carlo Faiello ha scritto per lei anche il testo di una canzone denominata appunto Maddalena, interpretata con orgoglio da tanti artisti e gruppi musicali.

Gennarino Capuozzo, storia di un giovane scugnizzo partigiano

Gennarino Capuozzo, di soli 11 anni, era nato nel 1931. Viveva con i genitori e 3 fratelli  in un umile stanzone in un basso tra i vicoli di Napoli. Ben presto questo impavido bambino si rese conto di dover fare le veci del padre diventando il capo famiglia, in quanto quest’ultimo sarebbe dovuto partire per il fronte nel giugno del 1941. Gennarino quindi iniziò a lavorare come apprendista in una bottega per sostenere la famiglia, nonostante a Napoli alegiassero nell’aria la paura e la povertà causata dalla guerra.

Il porto di Napoli era fondamentale per i tedeschi, che per questo motivo avevano occupato la città. Quando Badoglio firmò l’armistizio i soldati erano allo sbando, i tedeschi, dapprima alleati, divennero i nemici. In città vigeva l’ordine di fucilare chiunque sarebbe stato responsabile di atti ostili nei confronti dei tedeschi: a quel punto la popolazione insorse. Il 27 settembre 1943 iniziano le Quattro giornate. Gennarino in quel periodo aveva 12 anni. Una sera, di rientro dal lavoro, il ragazzo sentì gli spari di una pistola; spaventato e incuriosito, dopo essersi nascosto vide i corpi di un uomo, una donna e il loro bambino fucilati a sangue freddo. Quell’immagine lo riempì di rabbia e forza: a quel punto prese una borraccia d’acqua, una pagnotta e salutò la madre dandole un bacio, poi corse via dicendo «Tornerò quando Napoli sarà libera»

A lui si unì un gruppo di scugnizzi, perlopiù bambini e ragazzi, che miracolosamente decisero di aiutare gli insorti recandosi alla masseria Pagliarone al Vomero, rubando delle armi ai tedeschi. La notizia che un gruppo di scugnizzi stava mettendo a dura prova i soldati si diffuse velocemente in tutta Napoli.

Iniziò a girare voce che a Mugnano 10 civili, tra cui donne e bambini, erano stati uccisi, per questo Gennarino e i suoi decisero di vendicarli. Consapevoli e al contempo indifferenti di essere bambini, videro una camionetta dei soldati tedeschi e si nascosero dietro dei blocchi di cemento; Gennarino lanciò una granata contro il mezzo blindato. I tedeschi, presi alla sprovvista, si fermarono, ma Gennarino non li uccise: li condusse fino all’accampamento degli insorti e li consegnò a loro. Il bambino partigiano divenne un eroe.

Il 29 settembre del 1943 decine di napoletani avevano eretto delle barricate in strada con tutto ciò che avevano a disposizione. Gennarino era appostato e sparava a raffica contro le camionette tedesche; vide un carro armato blindato, sapeva che non avrebbe avuto speranza con la sua mitragliatrice, quindi si riempì le tasche di granate e senza pensarci due volte corse contro il carro armato urlando e minacciando i soldati. Gennarino Capuozzo così perse la vita all’età di 12 anni, sprezzante della morte e con grande orgoglio napoletano.

Gennarino è stato il più giovane partigiano d’Italia e per questo suo atto di coraggio gli è stata attribuita la medaglia d’oro al valor militare alla memoria.

La fine della guerra

Il 1 ottobre del 1943 giunsero i primi carri armati degli Alleati. Tuttavia quando arrivarono in città, i nemici tedeschi si erano già ritirati e le poche forze di fascisti italiani non si erano più visti già dopo l’8 settembre 1943.