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Sei una amante delle leggende? Scopri insieme a noi i misteri di Caserta, sede della residenza reale più grande al mondo, la Reggia di Caserta, e di tutta la provincia. Tra amori, invidia e incantesimi, tantissime sono le affascinanti storie da raccontare.
La leggenda di Rosella nella Reggia di Caserta
Il nostro viaggio nelle leggende casertane non può che cominciare con una struggente storia d’amore. Comincia tutto da un matrimonio in vista: quello del giovane principe Andrea con la sua amata Rosella, bellissima ragazza di umili origini, figlia di un pescatore napoletano. Le giovani aristocratiche napoletane che ambivano a sposare il principe erano contrarie ad una simile unione, così si recarono da una strega che diede loro una rosa avvelenata: non appena la giovane l’avrebbe annusata, sarebbe andata incontro a morte certa.
La rosa venne regalata a Rosella che, percorrendo la navata, la annusò. Qualcosa pero’ andò storto: Rosella non morì e si trasformò in una vecchia dall’aspetto orribile. Disperata, chiese aiuto ad un’altra strega di Benevento che la rassicurò dicendole che un bacio del suo principe avrebbe rotto l’incantesimo. Tornò al palazzo ma il suo principe non la riconobbe. Venne accusata di furto dell’abito nunziale e di rapimento ed esiliata in una grotta mentre il suo amato partì alla ricerca della sua Rosella. Dopo tre anni Andrea purtroppo morì di disperazione.
Un giorno, dopo tanti anni, il principe austriaco Ulrico, un cacciatore del Re, interruppe il suo silenzioso esilio. Fu tanto gentile che lei gli regalò un ramo di pungitopo da appendere al petto come portafortuna. Durante una battuta di caccia organizzata in occasione del cinquantesimo compleanno del Re, il padre del suo amato Andrea stava per essere caricato da un cinghiale infuriato e Ulrico lo protesse perdendo la vita. Rosella urlò dalla disperazione, tutti la notarono e la incolparono dell’accaduto condannandola a morte.
Il suo ultimo desiderio fu quello di vedere Ulrico: accarezzandolo si punse con il ramo e una goccia del suo sangue bagnò la bocca del principe austriaco che si svegliò miracolosamente.
Ulrico chiese spiegazioni in merito all’accaduto e di restare solo con Rosella: decise istintivamente di baciarla, una forte luce accecò Ulrico e finalmente il maleficio fu spezzato. Rosella ebbe il suo lieto fine tornando ad essere la giovane e bellissima ragazza che era un tempo: i due si sposarono e partirono per un lungo viaggio di nozze che secondo alcuni dura ancora oggi. L’amore, nonostante tutto, era riuscito a trionfare.
Maria Còtena, lo spirito malvagio che trascina i bambini nei pozzi di Alife
Anche visti nell’immaginario popolare come un collegamento tra la luce e le tenebre, tra il regno di vivi e quello dei morti, i pozzi sono stati per molto tempo gli elementi più importanti del tessuto urbano casertano.
Tante sono le leggende e i personaggi legati ai pozzi: nella zona di Alife ricordiamo Maria Còtena. Maria afferra tutti i bambini che si affacciano dai pozzi, li stringe con le sue lunghe mani artigliate e li trascina giù con sé.
Maria era una donna bellissima rimasta vedova troppo presto. Il marito vendeva le còtene, le cotiche, da cui viene il suo soprannome. Maria era diventata molto povera e spesso non riusciva a provvedere neanche al mantenimento di suo figlio. Un giorno incontrò un giovane appena arrivato in città e i due scoprirono presto di essere molto attratti l’uno dall’altra. Il giovane, pero’, era arrivato in città per allontanarla dal suo signore e, nonostante provasse dei veri sentimenti per Maria, l’aveva usata per ottenere informazioni. Una volta conquistata la città, decise che l’avrebbe presa in sposa e così fu. Quando però l’invasore rivelò al popolo il ruolo di Maria, fu accusata di tradimento e suo figlio fu gettato nel pozzo del castello. Distrutta dal dolore, Maria decise di morire lanciandosi nello stesso pozzo. Il giovane ordinò che il pozzo dovesse essere riempito di gioielli per la sua amata e lo fece poi chiudere.
Da allora si dice che lo spirito di Maria vaghi tra i pozzi e i sotterrai della città, minacciando di uccidere chiunque cerci di trovare il tesoro sepolto e trascinando con sè tutti i bambini che vi si avvicinano.
La leggenda del lago di Vairano
Si dice che la pianura di Vairano un tempo fosse caratterizzata da numerosi villaggi e masserie. Proprio dove oggi sorge il Lago di Vairano, si trovava la più grande fattoria della zona con un patriarca vecchio e scorbutico e una famiglia infelice.
Il popolo di Vairano era molto religioso e particolarmente devoto a Sant’Anna. Ogni anno, il 26 luglio, tutti i villaggi erano in festa, ma non la masseria del vecchio.
Un anno, il giorno della festa di Sant’Anna, il raccolto del grano fu molto abbondante e costrinse tutta la famiglia a lavorare senza sosta. Una delle giovani nipoti si fermò improvvisamente per allattare il figlio e il vecchio cominciò a frustarla. La nipote gli disse che il suo figlioletto sarebbe morto di fame se non gli avesse dato da mangiare ma lui rsi mostrò incurante della sua morte. Proprio in quel momento fu colpito da una palla di fuoco proveniente dal cielo e la masseria sprofondò in una voragine con tutta la famiglia. Dalla voragine iniziò stranamente poi a zampillare acqua: nacque così il lago e, ogni anno, la notte del 26 luglio, sembra che il pianto di un neonato irrompa nel silenzio di questa piccola oasi.
Santi e diavoli nel Castello di Casaluce
Nel comune di Casaluce si trova un imponente castello ormai logoro e malconcio, ma dal fascino indescrivibile. Circondato da acquitrini, boschi e paludi, si pensa che sia stato fatto edificare dal conte Rainulfo a scopo difensivo, anche se non siamo a conoscenza del periodo storico. Nel 1335 venne distrutto e totalmente abbandonato, subendo negli anni successivi alcuni restauri.
Pare che il castello ospitò condottieri, santi, monaci e viene considerato come una sorta di scrigno sacro dove le energie negative non avrebbero potuto insidiarsi. Leggenda narra che nei sotterranei ci sia un prezioso tesoro, probabilmente dei Templari, custodito da un particolare guardiano: il Diavolo in persona, che lo tiene tutto per sé.
La casa stregata nella periferia di Raviscanina
Vuoi entrare in una vera casa stregata? A Raviscanina c’è una misteriosa casa che cela tra le sue mura vecchie e inquietanti storie. È una vecchia abitazione ma ben conservata e si nasconde in una stradina di periferia: ha più di cent’anni, un melo selvatico circonda i cancelli d’ingresso e c’è ancora una cisterna con lavatoio in pietra che ci riporta indietro nel tempo.
A partire dagli anni 60, le storie e i pettegolezzi locali erano diversi: alcuni raccontavano che un bambino tormentava ancora la casa dopo aver perso la vita cadendo dalle scale, altri di una bambina che, persa nei boschi, si rifugiò nella stalla morendo di fame e di freddo. Altri ancora dicono che in quel terreno sorgesse un cimitero e quando la casa fu costruita, i morti disseppelliti scatenarono la loro ira.
Tanti strani episodi si sono verificati tra le sue mura costringendo gli inquilini a fuggire: scopriamone qualcuno insieme.
I novelli sposi e il violino fantasma
Una donna, nel 1967, prese in affitto la casa per trasferirvisi dopo il matrimonio con il suo futuro sposo. I due conoscevano i racconti sulla casa ma erano molto scettici, così entrarono nella loro nuova casa colmi di gioia per il matrimonio. Proprio nell’esatto momento in cui stavano per andare a letto sentirono un inquietante rumore di bottiglie di vetro che si infrangevano dietro la porta della camera.
Lo sposo si alzò per aprirla ma non trovò nulla e tornò a dormire. Il rumore ricominciò e il giovane andò di nuovo ad aprire la porta, ma di nuovo nulla. I giorni seguenti passarono tranquilli, fino al settimo giorno quando lo sposo sentì un violino che intonava una dolce melodia. Pensando che fosse una sorpresa dei suoi amici prese per mano la sua sposa e andò fuori al balcone, ma non trovarono nessuno.
In seguito, quando il giovane marito partì per la Svizzera, la moglie non voleva vivere lì da sola, così annullarono il contratto d’affitto.
Altre storie della casa di Raviscanina
Altre famiglie abitarono qui nel corso degli anni e tutte l’abbandonarono dopo pochi mesi. Pare che forze misteriose si scatenarono su una coppia di mezza età: ogni notte le ante dei mobili si aprivano e chiudevano da sole, le porte sbattevano e le finestre si spalancavano.
Da anni qui ormai regna solo il silenzio e la casa stregata conserva gelosamente i suoi segreti, non permettendo a nessuno di soggiornarvi.
La leggenda del lago delle Corree
Tra Vairano e Marzano Appio si trova un bacino incantato, il lago delle Corree (o Coree). Una leggenda racconta che qui ci fosse un regno governato da un potente Re di nome Astianante, bello come il sole, tanto da far cadere tutte le donne ai suoi piedi. Nonostante la bellezza esteriore, il re era un crudele tiranno, superbo e spregiudicato.
Un giorno, al calar della sera, una carovana regale proveniente dal lontano Oriente si fermò sul prato adiacente al suo palazzo: era la carovana della principessa promessa sposa del re di Campiglia, un regno vicino.
Il crudele tiranno si precipitò fuori dal castello per conoscere la principessa e fu accolto dal Gran Visir con grandi onori. Fu accompagnato in tutti gli ambienti della carovana, ma non dove riposava la principessa, così, indispettito, ordinò ai suoi soldati di uccidere l’equipaggio e rapire la principessa.
Astianante, alla visione della fanciulla ne rimase estasiato tanto da decidere di sposarla e rinchiuderla in una torre per nasconderla al mondo. Realizzò una torre, la “prigione della principessa” in soli due giorni con l’aiuto di giganti, elfi e altre creature magiche che aveva reso schiave. La struttura aveva una sola porta in oro massiccio con l’incisione “Cor Regis“, per indicare che al suo interno era custodito il cuore del re.
La ricerca della principessa
Dopo giorni di ricerche, il re di Campiglia si recò da Astianante implorandolo in nome degli dei di liberare la sua sposa ma il sovrano lo cacciò via. Il re di Campiglia allora gli disse: “Prima o poi gli dei ti puniranno per tutte le tue ingiustizie!”, ma il superbo re ride di lui e incominciò ad imprecare contro gli dei.
Lo stesso giorno, un fortissimo terremoto si verificò nella valle, inghiottendo la torre e tutto il regno, e non rimase nient’altro che un bacino lacustre chiamato Cor Regis, poi diventato Corree. Pare che nelle notti di plenilunio primaverili nelle acque si possano scorgere ancora i volti del re e della principessa e le ricchezze del regno perduto.
La terribile processione dei defunti
Si racconta che centinaia di anni fa una bambina perse la sua adorata mamma, così la madrina della piccola, per alleviare il suo dolore, le raccontò di una sorta di incantesimo: le disse di pulirsi l’orecchio con lo stesso fazzoletto per un intero anno; se avesse posto questo fazzoletto vicino ad una candela la notte del 2 novembre recitando una formula (le cui parole esatte purtroppo non ci sono pervenute), avrebbe potuto rivedere la sua amata madre.
Passato un anno, la bambina fece esattamente ciò che le disse la madrina, ma quando aprì la finestra di casa sua in attesa della madre si ritrovò davanti ad un’intera processione di defunti e altre creature infernali. Sconvolta la bambina si ammalò e durante il delirio causato della febbre raccontò a suo padre l’accaduto prima di morire.
Il Drago di Mondragone
Le leggende nella provincia di Caserta non finiscono qui. Ora ci spostiamo a Mondragone, più precisamente nel pressi del Monte Petrino, sulla cui sommità sorge la Rocca Montis Dragonis, o Rocca del Dragone, importante sito archeologico della zona.
Salendo verso il Monte, lungo un sentiero con un dislivello di circa 400 metri, si potranno raggiungere dei massi su cui arrampicarsi per scorgere il Castello, con vista su Ischia e Capri fino al Vesuvio. Questo luogo dal panorama mozzafiato è protagonista di una curiosa leggenda, ma prima di svelarvela parliamo un po’ di storia.
Gli abitanti del luogo chiamano la rocca anche “Mons Draconis” o in dialetto “Ru Castiegl”, il castello. La Rocca è di epoca normanna e pare che il castello appartenesse alla famiglia dei Dragoni, che si rifugiarono qui per scappare dai pirati saraceni; altre storie, invece, raccontano di un principe longobardo di nome Dragone e di sua figlia Rocca, sfuggita alla fame del Drago del Castello.
La leggenda narra che un cavaliere dai capelli color oro, mentre cavalcava sulla terra maledetta della Rocca di Monte Dragone, incontrò Rocca che gli raccontò della famiglia Dragoni scappata dagli abitanti della città. Ogni anno dovevano consegnare al Drago una giovane nobile in cambio di protezione. Pare che il drago bianco fosse un mostro enorme con tre teste e lingue di fuoco, con un ruggito così potente da rimbombare in tutto il castello e far tremare la montagna.
Il cavaliere, impietosito, decise di aiutare la fanciulla a liberarsi dal mostro, scovò il drago, si lanciò su di lui e gli tagliò tutte e tre le teste che rotolarono giù per la montagna creando delle voragini. Si dice che dove venne ucciso il Drago ancora oggi è possibile scorgere le sue teste e sentire i rimbombi del suo atroce ruggito nella caverna sottostante. Cosa aspetti ad arrampicarti anche tu sulla Rocca per ascoltare il suo inquietante lamento?
La leggenda di San Bernando
Nella zona di Vairano, precisamente nell’Abbazia della Ferrara hanno soggiornato illustri personaggi e santi, in particolare una leggenda locale racconta di San Bernardo di Chiaravalle. Pare che il santo abbia visitato l’abbazia e scacciato il maligno che si nascondeva nel convento portando scompiglio.
San Bernardo era un monaco cistercense e grande guida religiosa del suo tempo. Un giorno, quando l’abbazia aveva raggiunto il suo massimo splendore, sopraggiunse un nuovo frate laico: da quel momento il convento non trovo più pace. Il nuovo arrivato sembrava una persona molto colta ma indisciplinata. Non si presentava alle cerimonie e non partecipava ai canti di lode e “metteva zizzania” tra i frati, alimentando pettegolezzi e invidie.
Quando San Bernardo si recò all’abbazia come provveditore e venne a conoscenza di ciò che stava accadendo, subito ebbe un sospetto e fece radunare tutti i frati nella sala capitolare. Durante il suo discorso, però, uno dei frati, proprio l’ultimo arrivato che era in fondo alla sala, non si era scoperto il capo e storceva il viso quando sentiva il nome di Gesù.
Allora Bernardo gli si avvicinò e gli chiese di scoprirsi il capo ma l’uomo non volle: il santo capì che era il diavolo e facendo il segno della croce invocò l’aiuto del signore. Il maligno cominciò a scappare ma San Bernardo gli lanciò dei chicchi di grano e uno di questi, mentre lo inseguiva, crebbe a dismisura fino a travolgere il diavolo e farlo sprofondare nell’acqua del fiume Volturno.
Pare che il sentiero percorso dal diavolo sia ancora visibile poiché in quei punti non è più cresciuta alcuna vegetazione.
La fontana degli Zitielli ad Aliano
Pensavi che con la leggenda di San Bernardo le storie di Caserta fossero finite? Non ancora!
Tra il comune di Aliano e Raviscanina, precisamente a Fragnitiello, si trova la Fontana degli Zitielli. Si narra che qui sia stato lavato Gesù Bambino: da quel momento, ogni bambino che si credeva fosse stato stregato dalle janare (figure femminili oscure legate alla zona di Benevento) veniva portato qui per essere liberato dal maleficio. Le mamme inginocchiavano recitando il Salve Regina alla Madonna Addolorata, sette Padre Nostro, sette Ave Maria e sette Gloria a Gesù Bambino.
Il bambino maledetto doveva essere lavato e gli dovevano essere tagliate le unghie di mani e piedi, che venivano poi raccolte e messe in una tela insieme a qualche capello, fave e pane. Se la tela fosse affondata il piccolo era destinato a morte prematura, in caso contrario avrebbe avuto una vita lunga e felice.
Fatto questo, le mamme prendevano il proprio figlio in braccio e camminavano da una parte all’altra della fontana dicendo «passo e strapasso e lu male re gliu figliu miu cca lu lassu», cipè “passo e ripasso, il male del mio bambino lo lascio qui”.
Sembra che durante questo rito comparisse un serpente che poi scompariva poco dopo.
Si dice che originariamente non erano le unghie e i capelli del bimbo ad essere gettati nella fonte ma il bimbo stesso che si sarebbe salvato solo nel caso in cui avesse galleggiato.
La leggenda della principessa Fina
Roccamonfina conserva da sempre un fascino particolare grazie a diverse leggende, tra cui una assolutamente degna di nota è quella legata all’Orto della Regina, un’opera poligonale sulla cima del Monte Frascara, costituita da blocchi di trachite, una roccia magmatica di varie dimensioni. Ma qual era la funzione di questa costruzione?
Il termine orto potrebbe significare “recinto militare“, o venire da hortus che indica un luogo sacro. Pare anche che l’attributo Regina sia riferito alla divinità femminile Mefitis. Altri studiosi hanno rinvenuto una pietra tufacea romana dove appare il nome Mifineis.
L’origine dell’opera è soggetta a diverse interpretazioni: forse era stato eretto un tempio alla dea, oppure il recinto era un confine militare e Mifineis potrebbe significare pietra di confine, o a cora l’Orto della Regina probabilmente era un santuario utilizzato poi successivamente come forte strategico.
Qualunque sia stata davvero la sua funzione, pare che questo luogo fosse teatro di una leggenda d’amore. La principessa di nome Fina, dalla grazia unica e dalla bellezza di una dea, era la nipote dell’imperatore romano Filippo l’Arabo e, quando Decio salì al trono, Filippo si rifugiò a Roccamonfina con tutta la famiglia.
L’Arabo aveva nominato padrone di quelle terre Decio nel tentativo di sedare l’ascesa al trono di Tiberio Claudio Marino Pacaziano, ma i soldati dell’usurpatore per non morire designarono a loro volta Decio imperatore e Filippo fu ucciso poi senza pietà.
Nulla poteva scalfire l’abile e potente condottiero, tranne l’amore. Durante il suo regno conobbe la bellissima principessa Fina e, rapito dalla sua bellezza al primo sguardo, la cercò in ogni dove. Sembra che Fina si rifugiò proprio nell’Orto della Regina. Il nome della città, infatti, si dice che derivi proprio da quello della principessa, più storicamente attribuito all’originario toponimo del Monte Santa Croce, chiamato Monte Fino.
La leggenda di Suor Gertrude a Caserta, il fantasma di Viale Lincoln
Da molto tempo si racconta di un fantasma che si aggira a Viale Lincoln a Caserta. Tanti sono i testimoni che raccontano di averlo visto. Questa presenza oscura è causa di numerosi incidenti.
Secondo una storia molto simile a quella di Suor Gertrude nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, una giovane novizia molti anni fa fu costretta a prendere i voti, forzata ad entrare in convento in quanto non primogenita.
Il vero nome della giovane donna casertana non ci è noto. Pare che fosse rimasta incinta in seguito ad una relazione intrattenuta con un ragazzo che non ha mai saputo della gravidanza. Chiusa in convento lontana da tutti, le era inoltre impossibile raccontare a qualcuno dell’accaduto. Fino al quarto mese la giovane nascose la gravidanza anche alle sue consorelle, fino a quando il pancione non crebbe tanto da essere imossibile nasconderlo.
Partorito il bambino, fu adottato da dei contadini, ma si ammalò e morì. Fu riportato poi in convento per essere sepolto. La madre lo sotterrò vicino ad un grande alberto proprio a Viale Lincoln dove dopo pochissimo si impiccò. Ancora oggi la donna vaga per la strada in cerca dell’albero dove ha seppellito suo figlio, purtroppo abbattuto per lasciare il posto alla linea ferroviaria.
Cosa aspetti? Visita Caserta e scegli quale, tra i tantissimi luoghi misteriosi e stregati, visitare per primo.
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