Durante l’Ottocento opera nel Regno di Napoli una figura chiave del Risorgimento partenopeo: Lodovico Venceslao Loffredo. Conosciuto principalmente con il nome della sua alta carica nobiliare, il Principe di Cardito fu un nobile umanista, filantropo e mecenate.

Appassionato di scienze naturali e personaggio di grande cultura, infatti si battè per diffondere quanto più possibile il sapere e si premurò di sostenere le categorie sociali più fragili dell’epoca. Ottenne cariche prestigiose e grazie a lui si ebbero importanti opere pubbliche su tutto il territorio del suo vasto feudo, con particolare attenzione all’area flegrea e alla città di Pozzuoli, dove fece erigere una spettacolare villa, sua dimora estiva.

Cenni sulla vita del Principe di Cardito

Lodovico Venceslao Loffredo nacque a Napoli il 5 aprile del 1758. Di nobile stirpe, Lodovico fu il sesto ed ultimo Principe di Cardito, nonché marchese di Monteforte. Alla morte del padre Nicola Maria ereditò i titoli e la vasta area dei possedimenti feudali. Si pensi che il suo feudo si estendeva dalla zona di Piazza Garibaldi a Napoli fino a Pozzuoli, comprendendo anche i paesi dell’entroterra quali Frattamaggiore, Afragola, Caivano, Carditello e Cardito fino all’area irpina di Monteforte. Iscritta nel Libro d’oro Napolitano, registro della nobiltà partenopea, la famiglia dei principi di Cardito rappresentò una delle valide sostenitrici della dinastia dei Borbone.

Lodovico fu appassionato di scienze naturali e medicina ma si dedicò anche all’economia e agli affari politici. Svolse importanti incarichi diplomatici e viaggiò tra Danimarca, Prussia, Francia e Toscana. Durante la reggenza dei Borbone, fu anche ascritto agli ordini cavallereschi. Nel 1805 venne inviato a Milano, insieme all’allora ministro degli Esteri, durante l’incoronazione di Napoleone a re d’Italia per un delicato affare politico. Il Principe di Cardito aveva l’intento di accordarsi con il nuovo re affinché questi non invadesse il territorio del Regno di Napoli. La moglie di Ferdinando IV, la regina Maria Carolina d’Austria, però, non era sostenitrice del regno napoleonico e il nuovo re era stato già messo al corrente dell’intrigo politico. Per questo motivo Lodovico fu denigrato più volte da Napoleone e non riuscì nel suo intento. Un anno più tardi l’esercito francese invase Napoli mentre i Borbone si ripararono in Sicilia.

Il Principe di Cardito si ritirò dalla vita pubblica, dedicandosi alle scienze e al suo feudo. Nel 1815, le vicende politiche furono ribaltate, i Borbone tornarono a Napoli e Lodovico fu nominato prima socio e poi presidente di una delle più prestigiose istituzioni dell’epoca: il Real Istituto d’Incoraggiamento. Per la sua grande dedizione alla ricerca e alla cultura, ottenne la direzione generale della Commissione della pubblica istruzione del Mezzogiorno, mentre nel 1817 venne accolto dal re Ferdinando IV come suo collaboratore nel Consiglio di Cancelleria.

Le Opere pubbliche e l’amore per la città di Napoli e di Pozzuoli

Tra le sue più importanti opere pubbliche ed azioni sociali, va ricordato che fu proprio grazie al Principe Lodovico Venceslao Loffredo venne aperta agli studenti la Biblioteca universitaria, oltre che l’istituzione della cattedra all’Università di chimica applicata alle arti. Il principe fu un grande sostenitore delle classi più deboli quali gli orfani, per i quali aprì due orfanotrofi: uno a Cardito e l’altro a Monteforte. Tra i suoi progetti c’era anche la costruzione di un ricovero per le donne nobili il cui nome era decaduto a seguito delle vicende politiche. Tale struttura, però, non fu mai aperta perché il finanziamento per tale progetto (7000 dei 18000 ducati di rendita annua) era ritenuto troppo costoso dalla sua erede.

Il Principe Lodovico non ebbe mai figli perciò lasciò tutti i suoi averi a Marianna Loffredo, figlia di Gerardo e sposa di don Francesco Caracciolo. In onore della passione che nutriva per le scienze della natura, nuovi elementi arricchirono le collezioni dell’Orto Botanico di Napoli di quegli anni. Particolare interesse fu dedicato all’area dei Campi Flegrei dove il Principe di Cardito promosse, a sue spese, ricerche archeologiche e importanti opere edili. Lodovico fece ripristinare un’antica cisterna d’epoca romana, conosciuta ancora oggi con il nome di Piscina Cardito. Finanziò peraltro la costruzione della strada che collegava le zone di Baia, Miseno, Monte di Procida e del Lago Fusaro, ordinando anche il restauro dell’antico Porto di Miseno. Morì il 15 settembre 1827 nella sua residenza preferita: la Villa di Pozzuoli.

Il “luogo di delizie” della Villa di Pozzuoli

Il Principe di Cardito amava soggiornare nella zona costiera del Regno di Napoli. Tra i suoi possedimenti ricordiamo la sua residenza ufficiale di Napoli, una casa principesca che sorgeva a Via Chiaia 271 con cavalli, carrozze e servitù, oltre ad un Palazzo nei pressi della Monastero di Donnaregina. Nel 1801 acquistò anche un’altra residenza, che divenne la sua preferita: la spettacolare Villa di Pozzuoli.

La villa sorgeva su di una piccola altura posta proprio di fronte al mare, in un incantevole giardino privato con ampi viali di mortella e tanti fiori di piante esotiche mai viste prima dalla gente del posto, che definiva il complesso residenziale come “luogo di delizie“. Lungo i sentieri si incontravano statue e busti alternati alle sedici fontane che allietavano la passeggiata con fantastici giochi d’acqua. Gli interni della villa erano sfarzosi e dall’arredamento fine, arricchito da quadri, balconi e un ampio loggiato. La struttura comprendeva anche una scuderia con cavalli e una piccola collezione di carrozze.

Piscina Cardito

In Via Vecchia San Gennaro a Pozzuoli, è possibile visitare una grande cisterna di epoca romana, chiamata Piscina Cardito. Un tempo la cisterna era conosciuta con il termine latino di cisternae veteres (cisterna antica), ma fu in onore del Principe di Cardito, suo ultimo proprietario, che la struttura assunse il nome attuale.

Durante l’età imperiale forniva acqua a gran parte della città, essendo collegata all’Acquedotto Campano del Serino. L’acqua arrivava per mezzo di un’articolata rete di condutture che la convogliavano dapprima in un unico ambiente e poi verso ben quattordici vasche secondarie dove, attraverso un processo di sedimentazione, veniva ripulita dai detriti e dalle impurità. La cisterna è sormontata da una volta con botole, sorretta da trenta pilastri. Gli interni sono rivestiti da opus signinum, una malta chiamata cocciopesto, utilizzata per rendere impermeabile la superficie.