La letteratura italiana nasce grazie al contributo di figure illustri del XII secolo. Tra queste Francesco Petrarca, che fu poeta, filosofo, ma soprattutto uno tra i più grandi scrittori dell’epoca, pioniere dell’Umanesimo e della riscoperta dei grandi classici latini e greci.

Tra i suoi viaggi, volti al raggiungimento della più profonda e varia cultura, Petrarca non mancò di recarsi a Napoli per visitare i luoghi descritti dal poeta Virgilio. Lo scrittore venne per ben due volte nella città partenopea e numerose e contrastanti sono le sue testimonianze in merito all’amore e l’odio provati nei confronti dell’affascinante Napoli, tanto imperfetta quanto ricca di storia.

Petrarca visitò molte città italiane facendosi conoscere per la sua profonda erudizione. Gli venne offerta l’incoronazione poetica a Parigi e a Roma. Così, dietro consiglio del cardinale Giovanni Colonna, accettò di ricevere l’onorificenza nella Capitale. Petrarca fu incoronato Sommo Poeta al Campidoglio nel 1341.

Petrarca a Napoli prima dell’incoronazione poetica

Poco prima dell’incoronazione poetica, Petrarca fu invitato a Napoli presso la corte del re Roberto d’Angiò, detto il Saggio, probabilmente tra le regali sale del Maschio Angioino. Il sovrano doveva infatti esaminare il giovane letterato prima di conferirgli la corona d’alloro, simbolo della laurea poeticaad honoris“. Il poeta fu affascinato dalla grandiosità della corte angioina e il suo nome e la sua fama vennero rafforzati dall’approvazione del sovrano.

A Napoli Petrarca conobbe i più importanti letterati napoletani dell’epoca, quali Barbato da Sulmona, Giovanni Barilli e Nicolò Alunno d’Alife. Tornò in città due anni più tardi, nell’estate del 1343 per volere del Papa Clemente VI. Ospitato nel palazzo dei principi Colonna di Stigliano, Petrarca restò in città per ben tre mesi. Il re Roberto d’Angiò era deceduto e regnava sul trono l’adolescente Giovanna Durazzo. Il periodo angioino era ormai finito e grande era il malcontento dell’avvenuta successione: la regina, infatti, era la nipote del re Saggio, oltre che la sua unica discendente. Il suo regno fu caratterizzato dal disordine e da innumerevoli intrighi di corte.

Quando Petrarca ritorna a Napoli, quindi, trova una situazione del tutto diversa rispetto a quella del suo primo viaggio. Ad onor del vero l’autore venne in città per chiedere alla giovane regina la liberazione di alcuni prigionieri politici, accusati di ribellione e rinchiusi nelle carceri di Castel Nuovo. L’esito della richiesta, però, fu negativo e una grande amarezza pervase il Petrarca che iniziò a nutrire un miscuglio di sentimenti contrastanti anche nei confronti di Napoli.

Deluso iniziò a notare disordine e ingiustizie anche tra le strade. Venne colpito in particolare da un evento a cui assisté personalmente: nei pressi della Chiesa di Santa Caterina a Formello, infatti, lo scrittore fu testimone di una lotta tra due uomini che sfociò in uno scioccante omicidio a sangue freddo del giovane malcapitato.

Da una parte le vicende storiche e sociali della città lo spaventavano e deludevano, dall’altra Petrarca non poteva resistere al fascino paesaggistico e culturale di Napoli. Frequentò i luoghi simbolo della città recandosi al Maschio Angioino e visitando i tanti chiostri e giardini. Il sommo letterato continuò la sua ricerca culturale anche presso le ricche biblioteche e gli affascinanti siti archeologici partenopei. Come è testimoniato nell’opera Seniles, il letterato seguì le orme di Virgilio tra quei luoghi di Napoli che l’antico autore citò nelle sue grandi opere.

Stupito dalla grande bellezza del Golfo di Napoli, fece molteplici esplorazioni in compagnia dei suoi amici napoletani, Barilli e Barbato. Tra queste avventure ricordiamo un’escursione nella zona dei Campi Flegrei dove potè visitare le meraviglie di Baia e di Pozzuoli, spingendosi fino a Miseno e Cuma. Visitò anche il Lago d’Averno, rapito e incuriosito dai miti e dalle storie sull’antico “ingresso agli inferi”, e quello di Lucrino, esplorando, infine, l’esoterico Antro della Sibilla.

Lo tsunami che colpì Napoli nel 1343

Nel 1343 uno spaventoso e terribile evento meterologico colpì la città di Napoli. Si dice che lo stesso Petrarca annota tra le sue righe i temporali che in quei giorni colpirono la città. La notte del 24 novembre di quell’anno si verificò un terribile maremoto. La terra tremò tra boati e gli alti schizzi del mare in burrasca mentre enormi onde colpirono le imbarcazioni del porto, danneggiando ogni cosa e inghiottendo anche il faro. Le strade allagate divennero un luogo pericoloso, così il popolo accorse verso i punti più alti della città. Le fogne scoppiarono e molti furono uccisi dal devastante evento naturale. Francesco Petrarca, che era ancora a Napoli, rimase traumatizzato ed inorridito dalla furia dello tsunami, così si riparò dapprima negli spazi della Chiesa di San Lorenzo, dove i frati accolsero lui e altri concittadini feriti. Il mare intanto continuava la sua opera di distruzione fino al giorno dopo. Petrarca allora saltò su una carrozza e fuggì via verso Gaeta dove prese la prima nave disponibile che lo avrebbe condotto a Livorno e poi a Parma. Insomma, la sua già terribile opinione venne annerita da questo fortuito evento che lo scosse profondamente e di cui egli racconta tra le sue epistole Familiares.

Cenni biografici su Francesco Petrarca

Francesco Petrarca nacque ad Arezzo, in Toscana, nel 1304. Entrambi i suoi genitori erano originari della città di Firenze ma con l’arrivo di Carlo di Valois che esiliò tutti i guelfi bianchi dalla città, ser Petrarca e la sua famiglia furono costretti a trasferirsi altrove. I primi anni di vita del giovane Petrarca si svolsero quindi tra Italia e Francia dove il padre, notaio della Corte papale, lavorava. In quel periodo storico Avignone era divenuta la nuova sede della Chiesa di Roma, infatti in Italia strinse importanti amicizie come è testimoniato nell’opera dello stesso Petrarca, Familiares XXI.

Nell’epistola indirizzata all’amico Boccaccio, l’autore racconta del suo incontro con il Sommo Poeta Dante Alighieri. Durante il suo percorso culturale conobbe i romanzi francesi e la letteratura di Dante e si dedicò anche ai testi religiosi. Nel 1320 il giovane frequentò l’Università di Bologna dove studiò legge riscoprendo gli antichi autori tra cui Orazio e Virgilio, cui si ispirò nelle sue composizioni poetiche, mentre modellò le opere in prosa seguendo lo stile di Seneca e Cicerone.

Pochi anni dopo, nel 1327, vide Laura. L’incontro avvenne durante uno dei suoi soggiorni ad Avignone e, come ci descrive lo stesso autore, fu amore a prima vista. Il profondo sentimento per questa nobildonna francese già sposata ispirò la maggior parte delle poesie di Petrarca nella sua opera maggiore: il Canzoniere. Tuttavia visse come un chierico laico, prendendo i voti e stringendo amicizia con la famiglia Colonna.

Negli ultimi anni della sua vita, Petrarca era fuggito via dalla vita napoletana riparandosi a Parma e poi a Valchiusa. Nel 1348 arrivò in Italia la Peste Nera e con essa la drammatica notizia della morte dell’amata Laura, colpita dalla malattia. Nonostante le tristi notizie Petrarca continua a viaggiare vivendo per due anni in Provenza e poi tornando in Italia, a Milano. Si recò poi a Padova e a Venezia, tornando infine ad Arquà nel 1370 dove morì improvvisamente quattro anni più tardi.

Leggenda sulla morte di Petrarca e il mistero della sua Tomba

Si racconta che la morte sorprese il grande Petrarca la notte del 19 luglio 1374. Era seduto alla scrivania della casa canonicale che gli era stata assegnata a Padova, quando, studiando i testi di Virgilio nell’intento di perfezionare ulteriormente la sua arte letteraria, fu colpito da una sincope da cui mai più si risvegliò. Le sue spoglie pare siano state sepolte nei pressi della chiesa parrocchiale Santa Maria Assunta di Arquà. Tuttavia, anche dopo la morte, Petrarca continuò a viaggiare. Sei anni dopo la sepoltura i suoi resti vennero riesumati e spostati in un sarcofago. Per volere di suo genero, infatti, fu innalzato un monumento sepolcrale in marmo rosso di Verona, simile agli antichi sarcofagi romani. Su di esso si legge una scritta, che pare sia stata composta dallo stesso Petrarca prima di morire, che recita così: “Questa pietra ricopre le fredde ossa di Francesco Petrarca, accogli o Vergine Madre, l’Anima sua e tu, figlio della Vergine, perdona. Possa essa stanca della terra, riposare nella rocca celeste.”

A causa di questi spostamenti, però, nel 2004 vennero analizzate le ossa contenute nel monumento. Gli esami testimoniano che il teschio presente nella tomba non appartiene al Petrarca ma ad una donna sconosciuta che visse probabilmente nel ‘200. Un mistero avvolge la vicenda e ci si chiede ancora chi, tra i tanti che profanarono la tomba di Petrarca, portò via il cranio dello scrittore.