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Artemisia Gentileschi fu una pittrice italiana del XVII secolo, dall’inconfondibile stile drammatico ed espressivo di chiara ispirazione caravaggesca. La sua fama tuttavia è stata spesso attribuita alle vicende drammatiche e romanzesche della sua vita, che l’hanno resa una eroina femminista ante litteram.
Chi era la ‘pittora’ Artemisia Gentileschi
Artemisia Gentileschi nacque l’8 luglio 1593 a Roma. Figlia del pittore pisano di stampo manierista Orazio Gentileschi, che si era trasferito a Roma dove aveva assorbito le influenze caravaggesche.
Artemisia si appassionò sin da piccolissima alla pittura, soprattutto dopo la morte della madre (1605). Ispirata anch’ella dal realismo drammatico del Caravaggio, vi affiancò elementi della scuola bolognese: la sua prima opera compiuta è Susanna e i vecchioni, realizzata nel 1610 a soli 17 anni.
Un evento che segnò profondamente la sua vita personale ed artistica fu, nel 1611, lo stupro da parte di Agostino Tassi, suo maestro di prospettiva, durante l’apprendistato presso la bottega del padre. Ne seguì un processo pubblico e molto chiacchierato, in cui ella dovette testimoniare sotto tortura, provare la sua verginità precedente alla violenza, e venne sottoposta alla sibilla, supplizio progettato per i pittori che consisteva nel fasciare le dita delle mani con delle funi fino a farle sanguinare.
Il Tassi fu condannato, ma la reputazione e l’equilibrio psicofisico della donna furono irrimediabilmente rovinati.
Dopo il processo, sposò con matrimonio combinato il modesto pittore Pierantonio Stiattesi, trasferendosi nel 1612 a Firenze, città che godeva di un clima culturale molto fertile. Nel 1616 fu la prima donna nella storia ad essere ammessa alla prestigiosa Accademia del disegno fiorentina.
I debiti del marito e il chiacchiericcio sulla sua moralità la spinsero a lasciare Firenze nel 1620 per far ritorno a Roma, e poi ad intraprendere una serie di viaggi e permanenze a Genova, Venezia, Napoli e Londra, durante cui ebbe modo di conoscere importanti artisti dell’epoca. Pur essendo sempre accolta con favore nelle varie città, non riceveva comunque commissioni numerose come quelle dei suoi colleghi uomini. Morì a Napoli nel 1653, dopo un ultimo periodo di grande attività.
Il femminismo nelle opere di Artemisia
Il percorso biografico di Artemisia si è evoluto in una società in cui la donna rivestiva un ruolo marginale: anche la pittura, come altre attività, era considerata una pratica prettamente maschile. Artemisia fu ignorata per secoli dagli storici dell’arte, che tendevano a ridurne lo status artistico alle sue tristi vicende personali.
Il suo stile maturo e drammatico, e più in generale la sua figura, iniziarono ad essere rivalutati a partire da un articolo di Roberto Longhi (1916), Gentileschi padre e figlia. La sua portata espressiva è comunque tuttora associata prevalentemente agli aspetti drammatici e romanzeschi della sua vita, che l’hanno condotta, per forza di cose, ad un femminismo ante litteram.Ricordiamo a tal proposito le numerose sue opere che ritraggono eroine bibliche trionfanti sui soprusi maschili: Giuditta che decapita Oloferne (1612-1613), Ester e Assuero (1628-1635 circa), Davide e Betsabea (1635).
La pittura di Artemisia
Non bisogna dimenticare però la forza stilistica con cui Artemisia si impose come pittrice, cimentandosi in generi decisamente nuovi rispetto alle poche pittrici precedenti (che fino ad allora si erano limitate a paesaggi, ritratti e nature morte). La pittura di Artemisia è una pittura “alta”, con soggetti storici e sacri ed un impianto drammatico e monumentale di chiara ispirazione caravaggesca: scene sapientemente costruite, forme e colori dai netti contrasti, tagli ravvicinati che drammatizzano il rapporto con lo spettatore abbandonando i moduli iconografici convenzionali. Atmosfere più intime ma anche toni più lirici, in piena sintonia con lo stile barocco, che esprimono una potenza che va oltre le vicende personali: ricordiamo le sue Giuditte, rese con grande concretezza e per nulla idealizzate, così come anche gli autoritratti ed i nudi.
Dove trovare le opere di Artemisia Gentileschi a Napoli
Il periodo di permanenza a Napoli, dal 1630 al 1653 (interrotto un soggiorno di quattro anni a Londra) fu di intensa attività; tuttavia, attualmente sono poche le opere qui conservate.
Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte
Giuditta che decapita Oloferne (1612-1613). Raffigura l’eroina biblica Giuditta (affiancata dalla schiava Abra) nell’atto di decapitare il generale assiro Oloferne, che stava assediando la città di Betula. A differenza di altri pittori del Cinquecento e Seicento che avevano proposto lo stesso tema, Artemisia sceglie il momento più cruento della vicenda, l’istante preciso della decapitazione.
Annunciazione (1630). Una grande pala d’altare dipinta a olio su tela, raffigurante il tema caro alla storia dell’arte di tutti i tempi, l’Annunciazione dell’Arcangelo Gabriele a Maria.
Cattedrale di Pozzuoli
San Gennaro nell’anfiteatro di Pozzuoli (1636-37). Fa parte di un gruppo di tre dipinti realizzati da Artemisia per il Duomo di Pozzuoli (Rione Terra), e raffigura la vicenda del martirio di San Gennaro: nello specifico, il momento in cui le belve feroci a cui era stato dato in pasto, anziché aggredirlo si acquietano, leccandogli i piedi. Dopo essere stato conservato per oltre cinquant’anni al Museo di Capodimonte, è tornato alla sua originaria collocazione in seguito alla riapertura al culto della Cattedrale di Pozzuoli.
Santi Procolo e Nicea (1636-37). Raffigura due dei martiri di Pozzuoli, Procolo e sua madre Nicea, secondo la tradizione seppelliti nel Duomo di Pozzuoli. Anche questo dipinto, come il precedente, è stato conservato per oltre cinquant’anni al Museo di Capodimonte, prima di ritornare alla collocazione originaria.
Adorazione dei Magi (1636-37). Insieme ai due precedenti completa il trittico per il coro della Cattedrale di Pozzuoli, dove è attualmente conservato (dopo oltre cinquant’anni al Museo di San Martino). E’ interessante notare come i personaggi siano caratterizzati da fisionomie “meridionali”, quasi “spagnoleggianti”.
Palazzo Zevallos Stigliano
Sansone e Dalila (1630-38). Olio su tela ispirato all’omonima storia biblica, raffigurante Sansone addormentato sulle ginocchia dell’affascinante Dalila, che con l’inganno fa breccia nel cuore del giovane e riesce a scoprire il suo punto di forza.
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