Squittii è l’ultima raccolta poetica dello scrittore Roberto Gaudioso, concepita come un viaggio linguistico e sonoro. È un’avventura, un cammino che non trascura nessun luogo: Napoli, i Campi Flegrei, le drammatiche stragi di naufraghi. Scopri l’itinerario e l’intervista all’autore!

Ciao Roberto! Ci racconti come hai scelto il titolo del tuo ultimo libro?

«È una combinazione di più fattori che riassumono non solo la mia raccolta, ma anche il mio modo di scrivere. Prima di tutto il legame col canto: i topi possono cantare, c’è anche un racconto di Kafka al riguardo, “Josephine la cantante e il popolo dei topi”. Poi i topi sono qualcosa che si muove per terra, in luoghi vissuti, sporchi, mercati, questo movimento orizzontale che in Squittii coinvolge sia periferie sia geografie lontane.

Un elemento importante è però il fatto che noi non riusciamo ad ascoltare il canto dei topi, questo elemento mi ha fatto pensare al multilinguismo delle mie poesie, se ci pensi la combinazione di lingue che uso alcune volte può far pensare a questa incomunicabilità, al fatto che questo canto non si può leggere. So che rischio, ma non saprei fare altrimenti. Per questo ho aperto un canale youtube dove leggo sia le mie poesie sia quelle che traduco dal swahili».

Per chi non lo conoscesse, Roberto Gaudioso è un poeta, ricercatore, redattore di riviste internazionali che vanta varie pubblicazioni: al 2008 risale Camere Contigue, il suo esordio letterario. Dai progetti sviluppati con diversi artisti visivi sono venuti fuori: due volumi complementari del 2014, il libretto d’arte del 2012, DNA, e il quaderno di lavoro, del 2016, derivato dal progetto con Mariangela Levita.

Lo scrittore, insomma, ha mostrato presto la predisposizione alla performance e allo sperimentalismo, combinando l’intensità di parole polimorfe con la pittura, la fotografia e, talvolta, anche con il teatro.

Ci faresti un commento sulla differenza tra i due tipi di esperienze: i progetti sviluppati insieme agli artisti contemporanei e la scrittura “solitaria” ma non per questo meno fertile, di Squittii?

«La differenza è notevole, ma non inconciliabile. Mi piace collaborare con altri artisti, per lo più ho lavorato con artisti figurativi, ma ho anche collaborato sporadicamente (purtroppo) con un musicista. Lavorando con altri artisti, il nostro percorso si unisce a quello di un altro, si fa un progetto, adoro scrivere lasciandomi ispirare dall’opera altrui. Questo non vuol dire che è solo la scrittura a seguire l’opera d’arte. Ogni collaborazione è diversa.

Per esempio nei libretti paralleli che ho realizzato con Emanuele Gregolin abbiamo sperimentato un percorso parallelo, in Precessione la scrittura seguiva la sua opera, mentre in Faglie accadeva il contrario; ovviamente ci sono stati in entrambi i lavori punti di unione, rappresentati soprattutto dai lavori di Gregolin sui miei manoscritti.

Il lavoro che però ha rappresentato un percorso comune piuttosto lungo, fatto di dialoghi e di continua progettazione e riprogettazione dell’opera, è stato attraverso di te con Mariangela Levita. Con Mariangela, il percorso è diventato uno, per un anno abbiamo dialogato senza chiederci dove saremmo approdati, nel 2016 uscì il nostro quaderno di lavoro e organizzammo uno site specific in un appartamento abbandonato al centro di Napoli. Da lì nacque la collaborazione col regista Ivan Specchio che non realizzò un documentario, ma si unì alla nostra ricerca e ne venne fuori un altro prodotto artistico.

Attualmente con Mariangela stiamo ultimando la nostra seconda tappa: attraversare l’attraversato. Ci sono modi diversi di lavorare, ma ogni artista, sono certo anche quelli futuri (in questo momento sto lavorando con Prisco De Vivo) ha segnato la mia scrittura. Cooperare è anche rischioso e faticoso, ci possono essere diverse incomprensioni ma lavorare insieme per me è un modo felice di lavorare, mi porta gioia, e poi è un antidoto all’egocentrismo e alla pretesa di originalità e originarietà.

Tuttavia, ritengo il lavoro solitario necessario e un presupposto a tutto. La mia scrittura, per esempio, è legata a diversi luoghi, però solo ai luoghi dove sono stato per lungo tempo da solo. La solitudine mi aiuta a restituire poeticamente un luogo, ad avere un dialogo con esso, ad esperirlo; con la poesia è lo stesso».

Già dai primi versi della recente silloge (raccolta di scritti) un lessico vulcanico sembra alludere al territorio flegreo, a Pozzuoli, al Lago d’Averno, a Miseno, ma l’autore, con decisione, allarga la sua prospettiva. Si muove verso l’isola verde, Ischia, chiaramente citata in un componimento romantico, con le lampare per sfondo. Poi si sposta nel crocevia cittadino di Piazzetta Montesanto, riconoscibilissima in Grappoli d’uomini fuoriusciti dalle stazioni, con la folla che sgorga dai treni, il Vecchio Pellegrini, il mercato della Pignasecca e la sua umanità.

Dopo un intenso passaggio in Spagna, dal tono rapsodico e vivace, si raggiunge l’Africa, continente raccontato senza mitizzazioni, dove le danze sono scandite dal rimbombare dei tamburi, gli adolescenti si arruolano, mancano l’acqua e la luce, dove per strada si incontrano posti di blocco, ma soprattutto luogo di cultura, tant’è che al poeta tanzaniano Kezilahabi, Roberto Gaudioso dedica un componimento in cui lo definisce suo maestro. In questo viaggio, che è profonda fonte di arricchimento, i confini non sono che “un pelo d’acqua” e “la differenza succede come un urlo nel mare dell”uguaglianza”(cit.).

Ci diresti di più sul componimento ambientato a Montesanto?

«È il componimento che più di tutti ho scritto di getto, al momento dell’ispirazione. Ovviamente ho apportato qualche correzione in seguito, ma poche. Uscivo dalla metropolitana seguendo il flusso di gente, arrivando in piazza Montesanto, al nostro flusso si univa quello della Cumana e Circumflegrea, mi sono fermato lì, osservando la Pignasecca e ho scritto».

Le tappe dell’itinerario: il Lago d’Averno

Nella poesia all’idea di PRNTT l’autore fa riferimento al Lago d’Averno. Pare che il nome, in greco “senza uccelli”, fosse dovuto alle esalazioni gassose che ne impedivano il transito. Il giro attorno al lago craterico, sulle cui sponde si può ammirare il Tempio di Apollo, è l’ideale per chi ama passeggiare all’aria aperta, per gli sportivi o per fare un pic nic. Si raccomandano scarpe da tennis e, d’estate, lo spray antizanzare.

Il bosco di Zaro a Ischia

Nel componimento romantico – te le ricordi le lucciole?, Gaudioso evoca i paesaggi verdi del bosco di Zaro. Una volta raggiunta l’isola (tramite traghetto o aliscafo, da Calata Porta di Massa, dal Molo Beverello, da Mergellina oppure dal porto di Pozzuoli), nell’area di macchia mediterranea, situata tra Forio e Lacco Ameno, si può giungere via autobus (da Ischia Porto o da Casamicciola, in direzione Forio).

Il mercato della Pignasecca

In “grappoli d’uomini fuoriusciti dalle stazioni”, si scorge chiaramente Piazzetta Montesanto, raggiungibile con la linea 1 della metro, ma anche dal quartiere Vomero con l’omonima funicolare.

Qui, ogni giorno, fino alle 20.00, si vendono dai generi alimentari all’abbigliamento, passando per l’intimo, lo street food e i prodotti tipici. Si tratta di una delle zone più caratteristiche di Napoli, il cui nome risale al 1500, quando il luogo proliferava di orti.

Quando fu costruita via Toledo, fu abbattuta tutta la vegetazione e sopravvisse soltanto un pino, in napoletano “pigna”. Poiché, sull’unico albero, nidificarono molte gazze con l’abitudine di derubare i passanti, un arcivescovo dell’epoca lanciò una scomunica agli uccelli. Inchiodando la bolla al tronco, “la pigna” così diventò secca.