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Alla città di Napoli vengono attribuiti numerosi aggettivi. Alcuni la definiscono dinamica, altri misteriosa o anche affascinante, ma la vera anima di Napoli è da ricercare proprio nei suoi abitanti e nelle loro tradizioni. Uno degli aspetti più interessanti del popolo napoletano è quello legato ai riti popolari e alla scaramanzia.
Abbiamo intervistato Gennaro Di Biase che nel suo romanzo La Disgrazia di San Gennaro, interpretato in chiave anche comica, approfondisce questo modo di fare.
Il romanzo si apre infatti, con un evento che rappresenterebbe davvero un segno di cattivo auspicio per qualsiasi napoletano, anche non credente: la rottura dell’ampolla contenente il sangue del Santo Patrono.
Maurizio de Giovanni ha detto del romanzo: “La vertiginosa, incontrollabile storia di un Mistero che crea tanto mistero. La scrittura tesa e sequenziale di un cronista, condita dall’ironia e dalla profondità di un testimone accorato. Da leggere, assolutamente.”
Porta anche il nome del patrono della città, quanto la sua storia di scrittore è legata alla cultura napoletana?
La mia napoletanità, come quella di tanti, ha avuto un percorso di fuga e ritorno. Quando, dopo gli studi universitari a Bologna, sono tornato a Napoli, la città è diventata una specie di “base” su cui appoggiare la scrittura. Qualcosa di solido e di conosciuto da raccontare. Napoli è per me un modo per trovare un punto di incontro, non sempre facile da raggiungere, tra la scrittura e il vissuto.
Qual è il suo rapporto con i termini “disgrazia” e “scaramanzia”?
Per intitolare la novella mi serviva un termine che potesse rappresentare il contrario del miracolo. Nella lingua italiana non esiste una parola simile, visto che il miracolo è una cosa eccezionale e il suo contrario sarebbe quindi “la normalità”. La scelta della disgrazia, tecnicamente, viene da qui. Quanto al mio rapporto con la disgrazia, spero di tenermene più alla larga possibile. E così rispondo anche alla sua domanda sul mio rapporto con la scaramanzia. P.S. In realtà, a essere onesti, dalle disgrazie nascono anche nuove soluzioni sociali. E questo non si può ignorare, nel bene o nel male.
Il romanzo dà l’occasione di ripercorrere diversi luoghi come Duomo, piazza Mercato, Monteoliveto. Quale di questi luoghi partecipa secondo lei maggiormente al racconto?
Via Duomo, senza dubbio. La strada della Cattedrale si trasforma nella San Gennaro’s week: le bancarelle, i venditori di corni, quell’eccitazione quasi priva di desiderio, tutta napoletana, che traveste le traverse tra piazza Cavour e piazza Nicola Amore.
Qual è il posto della città a cui è più legato?
Onestamente non lo so. Per lavoro sono abituato a trattare ogni pezzo di città come se valesse esattamente quanto ogni altro pezzo di città. Napoli e le sue strade, per quanto cronicamente diverse, sono un blocco unico. Chi si prende Napoli deve prendersi tutto il blocco: via Scarlatti e vico del Purgatorio, via Posillipo e Piscinola, i Vergini e via Calabritto. Solo da questa macedonia esce il ritratto della città.
Le tappe principali del percorso: il Duomo di Napoli
Il Duomo di Napoli, situato nel cuore della città è senz’altro il luogo più importante del racconto. Da qui ha inizio tutta la vicenda, ed è il primissimo luogo che viene menzionato nel romanzo, dove ha inizio la misteriosa disgrazia della caduta dell’ampolla con il sangue di San Gennaro.
Proprio nel Duomo di Napoli ogni anno vi si recano fedeli o anche semplicemente turisti curiosi di vedere con i propri occhi lo scioglimento del sangue del Santo Patrono di Napoli.
Via Duomo
Nel libro viene menzionata con accurate descrizioni la strada protagonista del romanzo , proprio via Duomo, che accoglie lungo la sua via la maestosa Cattedrale. Durante la settimana dedicata al Patrono, San Gennaro, questa strada acquista vivacità e colori. Passeggiando per via Duomo ci sono tanti negozi dove è possibile gustare cibo napoletano e non solo. Venditori di caramelle si sparpagliano lungo il percorso rendendo golosa la strada verso il Duomo di Napoli.
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