Durante il ‘700 Napoli ospitò uno dei più originali, brillanti e soprattutto rivoluzionari musicisti dell’epoca: Giovanni Battista Draghi, conosciuto con il nome di Pergolesi.

La vita dell’artista fu una luminosissima meteora. Affetto da spina bifida, morì a soli ventisei anni a causa dei gravi problemi di salute di cui soffriva sin dalla nascita ma dopo la morte la sua fama si diffuse in tutta Europa. Intorno alle vicende della sua vita nacquero storie ed aneddoti che fecero della sua figura, una vera e propria leggenda.

Ispirò poeti ed artisti del secolo successivo nonché grandiosi musicisti che vennero letteralmente abbagliati dal talento del più importante esponente della scuola napoletana di quel tempo.

L’astro nascente del Pergolesi

Giovanni Battista Draghi nasce nelle Marche, a Jesi, nel 1710. Nonostante il reale nome di battesimo, il giovane insieme a tutta la sua famiglia venne appellato fin da piccolo con il nome di Pergolesi a causa delle origini del nonno che era appunto un calzolaio di Pergola. Il giovane studiò l’organo e il violino presso il Conservatorio della sua città natale dove fu subito notato per il suo talento.

Già nel 1725, all’età di quindici anni, si trasferisce a Napoli per proseguire i suoi studi e la sua carriera musicale. Grazie al mecenatismo del Marchese Cardolo Maria Pianetti, infatti, viene accolto presso il Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, dove si contraddistinse come eccellente violinista della scuola musicale napoletana.

Tale era la sua maestria che solo quattro anni più tardi era divenuto addirittura capoparanza, titolo assimilabile a primo violino, ossia incaricato di guidare e coordinare un piccolo gruppo strumentale dell’orchestra detta appunto paranza. Si dice che il suo talento durante le esecuzioni musicali era così eccezionale e fruttava talmente, che il giovane non abbia mai dovuto pagare la retta per gli studi al Conservatorio.

Si diplomò nel 1731, eseguendo durante il saggio finale un’opera da lui composta: il dramma sacro Li prodigi della divina grazia nella conversione e morte di San Guglielmo duca d’Aquitania

La sua fama tra i teatri di Napoli e Pozzuoli

Durante gli studi il Pergolesi aveva già lavorato ad un’altra sua composizione: La fenice sul rogo, ovvero la morte di San Giuseppe, grazie alla quale gli fu immediatamente commissionata l’opera seria La Salustia, da eseguire presso uno dei maggiori teatri di Napoli, il San Bartolomeo. L’opera subì però numerose vicissitudini, tra le quali la morte improvvisa del protagonista che ne ritardarono la messa in scena avvenuta infatti nel 1732.

Intanto l’artista fu assunto come maestro di cappella da uno degli eletti della municipalità napoletana, il principe di Stigliano Ferdinando Colonna, presso il quale compose altre opere serie e liturgiche.

Compose per il Teatro dei Fiorentini di Napoli, l’opera buffa Lo frate ‘nnamurato la cui prima versione fu corredata da un breve intramezzo senza titolo, su libretto di G. A. Federico. Successivamente replicata anche al teatro San Bartolomeo. Fu proprio in quest’ultimo teatro che nel 1733, venne eseguita la celebre Serva padrona, come intramezzo all’opera seria Il prigionier superbo. Più tardi, con un documento del 1734 sottoscritto dal Principe di Stigliano e dagli altri, venne riconosciuto quale sostituto e successore del maestro di cappella della Città di Napoli, Domenico Sarro.

Pergolesi venne poi chiamato a Roma dai duchi di Maddaloni a dirigere la Messa in fa maggiore in onore di San Giovanni Nepomuceno. Tornato a Napoli viene assunto al servizio della Casa Maddaloni dal duca Domenico Marzio VIII Carafa. A lui fu presumibilmente dedicata la Sonata in fa maggiore, opera per violoncello e continuo, attribuita al Pergolesi.

Dopo il successo avuto a Roma, nel 1735 venne richiamato nella capitale e gli fu commissionata l’opera Olimpiade, eseguita presso il teatro Tor di Nona di Roma, su libretto di Metastasio. Pare che l’opera non fu compresa dal pubblico e il musicista venne attaccato e offeso durante lo spettacolo.

Così il Pergolesi ritornò a Napoli, dove invece gli venne riconosciuta la carica di organista soprannumerario presso la cappella regia. Qui compose la sua Salve regina in do minore, mentre per il Teatro Nuovo, terminò il Flaminio su testo di Federico nel 1735.

Infine dalla Confraternita di San Luigi di Palazzo sotto il titolo della Vergine dei dolori, venne commissionato al Pergolesi la sua ultima e forse più venerabile opera: lo Stabat mater, terminata nel Monastero dei Padri Cappuccini a Pozzuoli. 

Il celebre scherzo musicale del Pergolesi e il suo legame con Pozzuoli

Nel 1736, quando aveva appena ventisei anni, il Pergolesi morì di tubercolosi presso il Monastero dei Padri Cappuccini di Pozzuoli. Eppure si dice che fino al suo ultimo giorno, il giovane artista talentuoso si sia impegnato nella composizione della sua celebre musica a tal punto che lo Stabat mater, sua ultima opera, sia stata terminata nel giorno stesso della sua morte.

Si racconta che attraverso la musica il grande artista trovava l’amore e la gioia di vivere. Così ai padri cappuccini, il giovane lasciò un simpatico scherzo musicale: il Venerabilis barba capuccinorum, per tenore e basso. Scherzo che verteva sul fatto che nessun rasoio potesse toccare appunto la venerabile barba dei frati Cappuccini. Una copia dell’opera è oggi conservata a Napoli presso il Conservatorio di San Pietro a Majella e nella raccolta dell’Accademia degli Spensierati di Firenze.

A prova dell’orgoglio e del sentito rispetto che i cittadini puteolani nutrono per questo grande artista, oggi si può incontrare un busto del Pergolesi esposto nel parco urbano della villetta Italo Balbo. L’artista è stato sepolto nel duomo della città, la Basilica di San Procolo.

Pergolesi e il Principe di Sansevero

Al servizio del principe di Stigliano Ferdinando Colonna, Pergolesi, conobbe non solo il duca di Maddaloni ma anche un’altra importante figura nobiliare del tempo: il Principe Raimondo di San Severo. Grazie al grande successo e all’inestimabile valore delle sue opere l’artista venne incaricato di comporre una serenata per le nozze del principe di San Severo con la sua nobile sposa Carlotta Gaetani d’Aragona.

La data delle nozze era fissata per il primo giorno di dicembre del 1735, e l’artista aveva già iniziato a lavorare sulla composizione quando le sue condizioni di salute peggiorarono e Pergolesi dovette rinunciare al lavoro per rifugiarsi presso il Monastero dei Padri Cappuccini di Pozzuoli.

Della musica, di cui riuscì a comporre la prima parte, si ritrovò soltanto il libretto. Tante furono le opere musicali del Pergolesi che andarono smarrite, altrettanto quelle scritte sotto il suo esempio ma attribuite ad anonimi. Musiche perdute su cui ancora oggi si studia per cercare di capire appieno il grande genio di questo artista.

Nel 2008, proprio presso la Cappella Sansevero, si è celebrato il terzo centenario dalla nascita di Giovanni Battista Pergolesi, eseguendo la Cantata per lo sposalizio del Principe di San Severo. Tale spettacolo musicale è stato articolato proponendo non solo Il tempo felice, la prima parte della serenata composta dal Pergolesi, ma anche altri brani proposti proprio per celebrare l’amicizia intercorsa tra questo artista e l’illuminato mecenate Principe Raimondo di Sansevero.

La grandiosa e riecheggiante fama del Pergolesi

Dopo la sua morte, la fama del Pergolesi raggiunse Parigi, dove nel 1752 venne riprodotta la sua opera Serva padrona ma si diffuse anche una aggressiva critica soprannominata la querelles des bouffons, una controversia tra la fazione più conservatrice dei compositori di teatro francesi che rifiutavano le nuove correnti musicali della scuola napoletana di cui Pergolesi era il maggior esponente e che si stavano confermando in tutta Europa.

Tale corrente rivoluzionaria era appoggiata peraltro da illuministi di rilievo, primo fra i quali Rousseau. Fu proprio quest’ultimo che giudica come perfetta la composizione dello Stabat mater, il cui testo viene rielaborato finanche in una parte di una composizione di Bach.