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L’amore di una mamma è infinito, proprio come il mare, come recita la poesia A mamma di Salvatore Di Giacomo:
«Pecché ll’ammore ‘e mamma è na ricchezza, è comme ‘o mare can nun fernesce maje»
Nella città di Napoli, come in tutta la Campania, la figura della mamma è molto sentita, il significato di madre viene celebrato non solo come un ruolo terreno ma anche divino, nel caso della madre di Gesù.
Per parlare di mammà, cioè per definire le nostre mamme ci sarebbero tantissimi aggettivi ma ce n’è uno che può descriverle al meglio: instancabili e combattive. Si prendono cura di noi, si preoccupano per noi e ci danno tanto amore. Ricordiamo una mamma napoletana per tutte, la Filomena Marturano di Vittorio de Sica.
In occasione della festa della mamma abbiamo deciso di raccontarti quanto il tema della maternità sia molto caro ai napoletani, ripercorrendo insieme luoghi simbolo della maternità.
La sedia dei miracoli: l’intercessione di Santa Maria Francesca
Altro luogo simbolo dell’importanza della maternità a Napoli è la sedia di Santa Maria Francesca. Il desiderio di maternità qui è così forte da spingere le donne con problemi di fertilità ad affidarsi alla Santa patrona di Napoli.
Innumerevoli fedeli sono solite recarsi presso la Chiesa di Santa Maria Francesca, nel Vico Tre Re a Toledo, all’inizio dei Quartieri Spagnoli per sedersi sulla sedia della fertilità, su cui era solita sedersi la Santa per riposare dai dolori della Passione che sentiva specialmente nei venerdì di Quaresima.
In una piccola cappella laterale salendo delle scale si raggiunge la stanza dove è ubicata la sedia della fertilità.
Entrando è impossibile non notare gli innumerevoli nastri azzurri e rosa, spesso con foto annesse di neonati, segno di gratitudine di molte donne che dopo la visita alla chiesa, hanno ricevuto il tanto atteso miracolo.
Molte madri addirittura chiamano le proprie figlie femmine Maria Francesca, o in caso di figli maschi Francesco, in onore della Santa.
Una volta sedutesi sulla sedia della fertilità, le donne confidano alla suora le proprie richieste e pregano, confidando nel potere di Santa Maria Francesca, compiendo un grande atto di fede.
Napoli e la devozione a Santa Maria: il culto mariano
Parlando del tema della maternità è impossibile non pensare alle tante celebrazioni della figura di Santa Maria, madre di Gesù, che si svolgono presso varie località della Campania.
Il culto mariano ha iniziato a diffondersi dal XV secolo d.C ma già dallo svilupparsi del Cristianesimo la Madre del Signore era venerata, soprattutto per la necessità della parte più umile del popolo di avere una figura femminile da onorare.
Grazie al culto mariano sono stati fondati grandi centri mariani tra cui Lourdes, Fatima, Medjugorje, così importanti per le apparizioni della Vergine Maria.
In Campania l’intero mese di maggio è dedicato al culto di Santa Maria. Durante questo mese si celebrano riti, omelie, messe, rosari, litanie mariane o anche fioretti.
Santa Maria si celebra di solito il 12 settembre ma in Campania ci sono anche altre ricorrenze dedicate alla madre di Gesù.
Ad esempio, il 16 luglio si festeggia Santa Maria del Carmine, con fuochi d’artificio, processioni e infiorate, e l’8 settembre Santa Maria di Piedigrotta. Da questa ricorrenza, deriva appunto la rinomata Festa di Piedigrotta.
Nel 1835, questa festa era un’occasione per far conoscere al mondo le canzoni di Napoli, tanto che in quell’anno il brano te voglio bene assaje diventò la canzone napoletana per eccellenza.
Sfortunatamente, a partire dal 1960 circa, questa festa iniziò il suo declino, a causa delle autorità che la trascuravano, e solo nel 2007 venne indetta una nuova edizione di questa festa, con danze, carri, fuochi d’artificio e luminarie.
Inoltre, verso la fine del mese di maggio i fedeli, partendo da Napoli, precisamente dalla Basilica Santa Maria del Carmine Maggiore, nei pressi di Piazza Mercato, si recano in pellegrinaggio, per raggiungere il Santuario della Beata Vergine del Rosario, a Pompei. Nonostante parta da Napoli, ci sono tappe intermedie a Portici, Ercolano, Torre del Greco e Torre Annunziata, per permettere ad altri fedeli di aggregarsi al cammino.
Durante il tragitto, percorso a piedi, i fedeli recitano il Rosario, e spesso suscitano l’interesse dei residenti, che lanciano petali di rose al loro passaggio.
Le mamme dei Figli della Madonna
Le madri che non hanno i mezzi per poter crescere i propri figli affidavano i propri figli a chiese o complessi per poter permettere loro di vivere una vita migliore. In particolare a Napoli nel complesso monumentale della Santissima Annunziata, i bambini venivano affidati in anonimato alla Ruota degli Esposti, conosciuta anche come Ruota dell’Annunziata.
Questo complesso non era un orfanotrofio, bensì un brefotrofio, cioè un istituto che accoglieva i bambini con il fine di poter trovare loro una sistemazione decorosa.
La Ruota, posta su un perno, permetteva di poter lasciare il bambino all’esterno, con garanzia d’anonimato, anche se spesso le madri lasciavano una medaglia, un oggetto, un simbolo che in qualche modo potesse far riferimento a loro, con la speranza di un ricongiungimento futuro, cosa accaduta purtroppo solo in rari casi.
Quando un bambino veniva lasciato all’interno della Ruota, il sistema era fatto in modo che suonasse un campanello, per poter avvisare la Rotara, una figura pronta a ricevere l’arrivo di un nuovo bambino.
Appena entrati nel complesso i bambini diventavano Figli della Madonna, proprio perché, passando attraverso la Ruota, ed entrando nel complesso, era come se avessero acquisito la protezione della Madonna, che li accettava senza il pregiudizio delle loro origini.
Il cognome portato era uguale per tutti: Esposito, considerato così discriminatorio per le persone da essere poi bandito, con il Regio Decreto n.985 del 3 giugno 1811, da Gioacchino Murat, che in alternativa propose di dare loro un cognome che descrivesse una loro caratteristica, che non sottolineasse le radici infamanti dei portatori di tale cognome.
Una volta accolto il bambino, veniva effettuata la Marcatura, cioè veniva annotata la sua presenza con una vera e propria scheda di ammissione, scrivendo ora e giorno dell’ingresso del neonato, lineamenti, età, ed anche eventuali caratteristiche particolari. Nel 1933 iniziò ad essere fatta anche una cartella clinica per annotare anche le condizioni di salute.
Dal 1875, tuttavia, la Ruota non venne più utilizzata, a causa dei problemi economici che comportava il gestire un numero così elevato di bambini abbandonati, con conseguenti condizioni di vita misere nei brefotrofi.
Quando venne chiusa i piccoli venivano portati direttamente al complesso della Santissima Annunziata.
Come si svolgeva l’adozione dei Figli della Madonna
Dopo aver sbrigato le pratiche iniziali, già il giorno successivo il bambino veniva dato in affidamento, o, nel caso fosse malato, veniva curato nell’ospedale stesso per poi passare all’adozione.
I bambini molto piccoli erano dati in allevamento alle balie, che potevano nutrirli col loro latte. Le balie normalmente vivevano in campagna o in una zona rurale, nella zona est di Napoli, per poter far crescere i bambini in maniera salutare.
Essere una balia era un vero e proprio mestiere, tant’è che le donne venivano pagate per poterlo fare. Le balie che prendevano in affidamento i bambini erano donne che avevano perso un bambino o che erano in periodo di allattamento.
Dopo lo svezzamento, il piccolo veniva riportato al complesso della Santissima Annunziata, alla ricerca di una nuova famiglia per l’affidamento, oppure spesso la famiglia che si era presa cura di lui sin da piccolo, lo adottava.
Molte famiglie decidevano di prendersi cura di un bambino anche semplicemente per la voglia e la gioia di crescerne uno. Per di più se il bambino adottato era maschio, poteva potenzialmente essere forza lavoro. Per le bambine invece, la situazione era più difficile, perché c’era la necessità di far loro la dote per permettere loro di sposarsi.
Ai bambini che invece rientravano al complesso della Santissima Annunziata, subito veniva cercata una nuova famiglia per l’affidamento.
Spesso le famiglie non adottavano formalmente i bambini, quindi il cognome rimaneva invariato. Molti anni fa c’era una differenza tra affiliazione ed adozione. La prima, abolita nel 1983, prevedeva il cambio di cognome, ma non l’eredità, a meno che non si fosse fatto un testamento in cui la famiglia specificava esplicitamente cosa dovesse ereditare l’adottato.
Cosa aspetti allora a visitare tutti i luoghi che raccontano della maternità?
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