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Raffele Viviani nacque a Castellammare di Stabia la notte del 10 gennaio 1888.
Fu poeta, commediografo, autore di canzoni e attore teatrale. Trascorse quasi tutta la sua vita a Napoli, dove si spense il 22 marzo del 1950. Prima di morire, dopo 12 ore di silenzio, trovò la forza di chiedere, con un ultimo sforzo e con un tenue filo di voce: “Arapite a’ fenesta, faciteme vede’ Napule..”
Il suo vero cognome era in realtà Viviano, e solo quando raggiunse una certa fama lo cambiò in Viviani per motivi artistici.
Egli è noto, come Eduardo De Filippo, per essere stato uno degli esponenti della drammaturgia napoletana del Novecento. Ancora oggi a Napoli sono documentati i suoi numerosi successi grazie a locandine, lettere e spartiti di canzoni.
L’infanzia di Raffaele Viviani
Raffaele Viviani, o Papiluccio, come veniva chiamato in famiglia, ebbe un’infanzia abbastanza difficile. Trasferitosi a Napoli dopo alcuni problemi finanziari della famiglia, il padre, che già era un uomo di spettacolo, fondò i Masaniello, piccoli teatrini, assistito dal giovane Raffaele, appassionato già di spettacoli.
A soli quattro anni e mezzo, infatti, Papiluccio si innamorò di uno spettacolo di marionette del padre, imparandone le canzoni a memoria. Un evento in particolare ha scaturito l’inizio della carriera di Viviani: una volta, il protagonista e tenore dello spettacolo, Gennaro Trengi, si ammalò; immediatamente proposero di far salire il piccolo Raffaele sul palco. La scelta diede vita ad un successo, tanto da essere definito dalla stampa come un piccolo prodigio.
Così, da un’idea partita per gioco, sempre più persone volevano pagare per assistere alle esibizioni del piccolo cantante.
Sfortunatamente, con la morte del padre di Viviani nel 1900, il gioco si trasformò in un vero e proprio lavoro duro, necessario a sfamare tutte le bocche della famiglia. Raffaele fu costretto, all’età di 12 anni, a prendere le redini in mano della situazione e “sostituire” la figura paterna.
In quel momento Raffaele Viviani si rese conto che avrebbe dovuto creare qualcosa di diverso rispetto agli altri, per questo iniziò a scrivere canzoni e a sviluppare l’idea di creare un teatro tutto suo. Nonostante le difficoltà e la miseria, furono anni che gli permisero di studiare e formarsi nel mondo del teatro.
L’ascesa al successo di Viviani
A causa delle difficoltà economiche dovute alla morte del padre, il giovanissimo Raffaele cercò un impiego, e infatti venne ingaggiato da Don Ciccio Scritto, un impresario che lo introdusse al lavoro partendo da una misera paga, ossia solo 50 centesimi al giorno, lavorando dalle due fino a mezzanotte.
Venne scritturato poi una seconda volta, insieme alla sorella Luisella, come duo di cantanti. I due partirono, assieme alla madre per una tournée in Italia, ma non ebbe per niente successo. Tornati a Napoli, Viviani riuscì ad essere scritturato dal Teatro Petrella nel 1904.
Qui interpretò Scugnizzo, che fu un tale successo da far uscire di scena Peppino Villani, che interpretava questo ruolo precedentemente, e non solo. Da qui nacque la leggenda di Viviani, apprezzato poiché dava voce e rappresentava in modo realistico sul palco la gente comune di Napoli.
Dopo il 1905 circa, Viviani venne scritturato al Teatro Eden, che proprio in quegli anni era diventato un noto, nonché l’unico caffè concerto della città di Napoli. In questo periodo incominciò a lavorare ai propri numeri, scrivendo testi che potessero distinguerlo dagli altri.
Ricordiamo infatti un pezzo della biografia di Viviani che recita: “Cominciò così per me un triplice travaglio. Prima imparare a scrivere, poi il repertorio; e dedicai tutti i giorni e parte delle notti al lavoro; le musiche me le facevo scrivere dopo averle canticchiate al maestro Enrico Cannio e così, in quindici giorni vennero fuori i primi miei sei tipo realistici e di ispirazione popolare che dovevano dare il trionfale inizio alla mia ascesa.”
In questo periodo nacquero infatti opere come: Prezzetella ‘a capera, ‘O tammurraro, ‘O pezzaiuolo e Pascale d’ ‘a cerca, tutti personaggi della vita popolare napoletana. La sua situazione economica iniziò finalmente ad avere una svolta positiva, e il suo successo crebbe sempre di più tanto da essere chiamato nei teatri di tutta Italia dal 1910.
La consapevolezza di aver appreso nei precedenti luoghi in cui era stato scritturato, e di aver compreso le esigenze del pubblico, spinse Viviani a fondare una compagnia di varietà nel 1916, che chiamò “Tournée Viviani”. L’obiettivo era realizzare serate complete con diversi numeri interpretati da attori scelti da Viviani stesso. Egli diventò dunque sempre di più impresario di sé stesso, e ciò fu possibile anche grazie all’aiuto e alla collaborazione della sorella Luisella. La compagnia ebbe un grande successo, che portò il gruppo ad esibirsi nei teatri di tutta la penisola italiana.
Il passaggio alla prosa e gli atti unici
Dopo la disfatta di Caporetto, nel dicembre del 1917, a causa di un divieto governativo che considerava i locali per gli spettacoli di variété poco adatti ai reduci di guerra, molti caffè concerto vennero chiusi. Viviani colse l’occasione al volo, siccome già sperava di potersi dedicare alla prosa, adattandosi al meglio a questo cambiamento improvviso.
Nel 1917 si presentò dunque all’impresario del Teatro Umberto di Napoli, il cavaliere Giovanni Del Piano, chiedendogli di mettere in scena i suoi atti unici. Egli accettò con piacere: la compagnia di Viviani debuttò al Teatro Umberto con l’atto unico di prosa O’ vico il giorno 27 dicembre del 1917.
Grazie al successo ottenuto con questo spettacolo, Viviani fondò una compagnia di teatro incentrata sulla prosa, che chiamò “Compagnia d’arte nuova napoletana”. Aiutato sempre dalla prima attrice e sorella Luisella, la compagnia era stabile al Teatro Umberto di Napoli.
L’artista rivoluzionò i canoni classici del teatro perché aggiunse musica, canto e danza agli atti unici, ma non solo. Viviani abolì il suggeritore, pertanto tutti gli spettacoli erano recitati a memoria. Come ricorda Viviani stesso: “Ogni battuta era meticolosamente provata e riprovata. Le prove perciò duravano ore ed ore. Volevo che tutti dessero il meglio di loro stessi in modo che non si creasse un distacco fra me ed i miei attori (…)”.
L’esito del teatro innovativo di Viviani
La compagnia teatrale di Viviani ottenne sempre più successo negli anni che precedettero la Prima Guerra Mondiale. Tra le sue opere ricordiamo le più importanti, come Zingari, Piscature, Circo Sgueglia, Fatto ‘e cronaca, Morte di Carnevale, Guappo ‘e cartone e Padroni di barche.
Egli si impegnò enormemente per ricoprire il ruolo di attore, drammaturgo, nonché direttore. Il suo impegno fu ripagato dall’enorme apprezzamento e soprattutto dalla grande affluenza di pubblico nelle sale. La compagnia infatti diventò nazionale, presente in tutti i teatri d’Italia, da Sud a Nord.
Ad agosto del 1928, la tanto amata sorella di Viviani e prima attrice della sua compagnia, decise di separarsi dal fratello per poter fondare una compagnia propria. Fu un durissimo colpo, ma in breve tempo venne trovata una sostituta: Armida Cozzolino.
Continuò ad avere successo, infatti, nel 1929 Viviani fece una tournée in America Latina, e al ritorno venne scritturato per circa 20 parti in svariati teatri italiani.
L’effetto della guerra sul teatro
Verso gli anni ‘30 la compagnia iniziò ad avere meno successo, principalmente a causa del difficile periodo storico che l’Italia stava affrontando, ossia gli anni del regime fascista.
La scelta di Viviani di rappresentare un teatro sociale, in cui i protagonisti mettevano in scena la realtà della miseria, dell’emancipazione sociale, e della drammaticità della vita quotidiana, non era vista di buon occhio. Il regime fascista puntava a mettere in scena spettacoli che si incentrassero sulla grandezza, sulla ricchezza e sulle rassicurazioni apparenti.
Raffaele Viviani non stava più vivendo il successo di una volta, tanto da essere relegato in teatri di fama minore, con l’accusa di portare in scena ciò che in Italia era ritenuto vergognoso a quell’epoca. Fu così che nel 1937, mentre nel paese si respirava aria di guerra, Viviani decise di mettere da parte il teatro per dedicarsi all’arte dell’interprete.
Ugo Betti, drammaturgo e poeta, gli propose diversi ruoli, tra cui L’ammalato immortale di Molière nel 1936, Miseria e Nobiltà di Scarpetta nel 1939, Chicchignola di Petrolini nel 1939 e Siamo tutti fratelli di Petito nel 1941.
Verso la fine degli anni ’30, tuttavia, con l’entrata dell’Italia in guerra, Viviani si scontrò con ulteriori ed oggettive difficoltà. La rappresentazione in teatro diventò complicata e spesso durante i bombardamenti gli spettacoli venivano interrotti per permettere alla gente di fuggire.
Gli ultimi anni di vita dell’artista
Negli anni ’40, a causa di una malattia che fu poi la causa della sua morte, Viviani iniziò ad apparire sempre di meno durante gli spettacoli. La sua ultima apparizione in pubblico risale al 1945. Egli recitò in O’ vico, la stessa opera con cui era iniziato il suo successo anni addietro.
Raffaele Viviani si spense il 22 marzo del 1950 a Napoli, all’età di 62 anni. La sua ultima volontà fu solamente una: “Arapite, faciteme vede’ Napule”. Volle dunque vedere per l’ultima volta la sua amata città dalla finestra. Attualmente riposa al Cimitero di Poggioreale di Napoli, al Quadrato degli Uomini Illustri.
In giro per la Napoli di Viviani
Grazie al contributo di Viviani, oggi è possibile sapere molti dettagli della sua vita e della sua carriera grazie all’autobiografia scritta dall’artista, intitolata Dalla vita alle scene. L’altra autobiografia.
All’artista completo che è diventato, sono state dedicate molte strade pubbliche e anche molteplici scuole superiori, sia a Napoli che a Castellammare di Stabia.
Al Corso Vittorio Emanuele di Castellammare, sua città natale, gli è stato dedicato un busto in marmo, situato nella villa comunale.
A Napoli, inoltre, gli è stato dedicato anche un parco. Lo stesso Viviani disse queste parole: “Stu ciardiniello che felicità. N’angulo e Paraviso sciso ‘nterra”. Il parco è situato in Via Girolamo Santacroce al Vomero ed è in discesa; parte, infatti, dall’Arenella fino a raggiungere il Corso Vittorio Emanuele. All’interno del parco, oltre ad esserci numerosi punti panoramici, sono presenti anche panchine con poesie e opere d’arte.
Non poteva mancare ovviamente un teatro dedicato all’artista. Situato in zona Forcella di Napoli, il Teatro Trianon Viviani è il teatro della canzone napoletana, tutt’ora attivo con numerosi e coinvolgenti spettacoli.
Noi di Movery vogliamo ricordare il grande Viviani con una delle sue canzoni più conosciute, Bammenella:
So” Bammenella ‘e copp”e Quartiere:
pe’ tutta Napule faccio parla’,
quanno, annascuso, p”e vicule, ‘a sera,
‘ncopp”o pianino mme metto a balla’…
Vene ‘ambulanza?…’Int’a niente mm”a squaglio!
E, si mm’afferra, mme torna a lassa’!
‘Ncopp”a quistura, si e vvote ce saglio,
e’ pe’ furmalita’…
Cu ‘a bona maniera,
faccio cade’ ‘o brigatiere…
piglio e lle ve’ngo ‘o mestiere:
dico ca ‘o tengo cca’…
‘O zallo s”o ‘mmocca,
ll’avota ‘a capa e s’abbocca…
ma, nun appena mme tocca,
mme n’ha da manna’!
Mme fanno ridere cierti pperzone
quanno mme diceno: Penza pe’ te…
Io faccio ‘ammore cu ‘o capo guaglione
e spe’nno ‘e llire p”o fa’ cumpare’…
Sto” sotto ‘o de’bbeto, chisto e’ ‘o destino…
ma c’e’ chi pava pircio’ lassa fa’…
Tengo nu bellu guaglione vicino
ca mme fa rispetta’!
Chi sta ‘int”o peccato,
ha da tene” ‘o ‘nnammurato.
ch’appena doppo assucciato,
s’ha da sape’ appicceca’…
E tutt”e sserate,
chillo mm’accide ‘e mazzate!
Mme vo” nu bene sfrenato,
ma nun ‘o dda’ a pare”!…
Mo so” tre mise ca ‘o tengo malato;
sacc’io che spe’nno pe’ farlo sana’!
Pero’, ‘o duttore, cu me s’e’ allummato:
pe’ senza niente mm”o faccio cura’…
E tene pure ‘o mandato ‘e cattura:
priesto, ‘ambulanza s”o ve’ne a piglia’…
Io ll’aggio ditto: Sta’ senza paura,
pe’ te, ce sto’ngo io cca’!…
Cu ‘a bona maniera,
faccio cade’ ‘o brigatiere,
Mentre io lle vengo ‘o mestiere…
isso, have ‘o canzo ‘e scappa’…
Pe’ me, ‘o ‘ssenziale,
e’ quanno mme vasa carnale:
Mme fa scurda’ tutt”o mmale
ca mme facette fa’!
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