Sarà capitato quasi a tutti di incontrare lungo le strade partenopee il famoso furgoncino o carretto della trippa, illuminato e ricco di carne grondante di acqua per mantenerla sempre al fresco. Si tratta dei trippaiuoli, o ventraiuoli, che vendono una vera e propria insalata di trippa, anche conosciuta nel gergo popolare come “‘o pere e ‘o muss’“, che va rigorosamente gustata fredda.

La trippa non è altro che lo stomaco di un animale, solitamente si usa carne bovina o suina; è molto difficile descriverne il sapore perché dipende molto dal modo in cui viene condita, ad esempio può essere preparata alla pizzaiola, con i fagioli, col ragù o nella sua classica e forse più famosa versione, tipica dello street food napoletano: un cuoppo ben oliato, con trippa, sale e abbondante limone.

Nonostante l’aspetto non sia particolarmente invitante, non lasciatevi ingannare! Sia la consistenza un po’ callosa che il sapore sono davvero particolari ed esaltati dal gusto agrumato del limone.

Le origini della trippa

Le origini della trippa, come si potrebbe intuire, sono da ricondurre ad un periodo di povertà del popolo: durante la guerra, infatti, a causa della carenza di cibo si usava riciclare gli scarti delle carni, le cosiddette “zendraglie”. Il risultato era un piatto semplice, preparato con ingredienti poveri ma allo stesso tempo saziante e poco elaborato.

Nonostante la bontà indiscussa di questo alimento, servito in diverse varianti anche nei ristoranti di lusso moderni, al tempo questa usanza era molto criticata dalle classi sociali più elevate; infatti l’abitudine di raccogliere gli scarti del re o delle trattorie per sfamare le famiglie povere era considerata poco igienica e umiliante.

Fortuna, però, che questo piatto sia sopravvissuto al pregiudizio dei più, continuando ad essere una fonte di sostentamento essenziale durante la carestia e le guerre.

Curiosità interessante è la storia secondo la quale questo piatto sia stato segretamente introdotto nella cucina del Palazzo Reale di Napoli. Il cuoco Vincenzo Corrado ci racconta che Ferdinando I, il “Re Lazzarone”, amava spesso trascorrere del tempo in anonimato tra i popolani. Un giorno, dopo aver assaggiato questa umile prelibatezza, decise di introdurla anche nelle cucine di corte, a dispetto di tutte le dicerie dei nobili.

Verso la fine del Settecento in tutta Italia i poveri iniziano a cucinare piedi e teste di maiale o vitello, dando vita a varianti regionali dello stesso piatto.

Trippa alla napoletana

La ricetta napoletana classica, che a differenza delle altre zuppe va servita fredda, è un’insalata fresca e leggera: si prepara prima un brodo di verdure con sedano, carota, patate, cipolle, aglio e prezzemolo. A dare sapore sarà soprattutto il succo di limone e il tocco di peperoncino. Dopo averla lasciata in frigo va servita con un filo d’olio.

Trippa alla fiorentina

La trippa alla fiorentina è particolarmente apprezzata per la facilità con cui si prepara. Basta aggiungere i pezzetti di trippa ad un soffritto di cipolle, aggiungendo carote, prezzemolo, sedano e uno spicchio di aglio tritato. Ad insaporire il tutto sono i pomodori pelati. Va servita calda, con parmigiano grattugiato e un filo di olio d’oliva.

Trippa alla romana

Un’usanza tipicamente romana è quella di mangiare la trippa ogni sabato, a casa o in una trattoria del posto. Nella ricetta romana si lascia sfumare il soffritto con un po’ di vino, rendendo il tutto più speziato e piccante con un pizzico di peperoncino, chiodi di garofano e pepe. Immancabile a fine cottura il pecorino e delle foglioline tritate di menta.

Trippa alla milanese

In Lombardia conosciuta come “busecca” (cioè frattaglia in dialetto lombardo occidentale), questo piatto veniva spesso cucinato dai milanesi la sera della Vigilia di Natale, ed è diventato un piatto rappresentativo della città, infatti i milanesi sono anche conosciuti come “busecconi”, cioè “mangia-trippa”. La ricetta lombarda prevede anche l’aggiunta dei fagioli oltre alla passata di pomodoro.